la Repubblica, 21 aprile 2022
Guardare Parigi pensando a Roma
Anche chi non lo ammette, in questi giorni occhieggia a Parigi. E si capisce: il voto presidenziale in Francia è carico di messaggi diretti o indiretti rivolti anche a sud delle Alpi. E mai come stavolta qualcuno spera che da Parigi giunga un’idea, un’intuizione per smuovere le acque stagnanti della nostra politica. È chiaro che un’eventuale e assai improbabile vittoria di Marine Le Pen avrebbe conseguenze clamorose sull’assetto europeo. Tanto clamorose che non si possono misurare oggi, ma solo intravedere dopo le dichiarazioni anti Nato e anti Germania della candidata. Di sicuro una Francia con una presidente di estrema destra diventerebbe un faro per tutte le forze estremiste sparse nell’Unione. In Italia vedremmo Salvini uscire dal cono d’ombra nel quale è stato risucchiato da tempo. A sua volta Giorgia Meloni sarebbe chiamata a dimostrare che la straordinaria freddezza mostrata verso la francese – non a caso interlocutrice e amica del capo della Lega, non sua – reggerà anche in caso di vittoria lepenista domenica sera. Essendo molto più facile prendere le distanze da un candidato sconfitto che da uno trionfante.
In entrambi i casi la destra italiana si troverebbe davanti a un bivio: reinventarsi in senso conservatore-liberale, come avrebbe dovuto fare da tempo; ovvero mettersi nella scia di Marine, il che è assai più comodo ma non avverrebbe senza un prezzo. Infatti l’Europa difficilmente potrebbe accettare che dopo la Francia un altro Paese fondatore faccia blocco su uno schema avverso all’Unione. Peraltro, come si è detto, il successo di Le Pen è un’ipotesi remota. Più interessante è guardare nel campo dei sostenitori di Macron. Il principale tra loro è senz’altro Matteo Renzi. Anche Enrico Letta, da sempre vicino alla politica francese, lo è.
Ma l’ex premier fiorentino è un vero fan del presidente uscente. Vede in lui un’opportunità per restaurare di riflesso la sua stessa popolarità e quindi riacquistare credibilità presso gli elettori.
Che ci riesca, sfruttando la stella macronista, è tutto da vedere. Intanto però Renzi si presenta come il referente italiano di En Marche, contando sul fatto che il presidente del Consiglio Draghi, pur essendo in ottimi rapporti con l’Eliseo, in questo momento – e con la guerra a Est in corso – dà l’impressione di privilegiare il legame con Washington.
Per la verità c’è anche un’altra ragione, più politica. Ne è alfiere un amico di Renzi e anche di Macron: il parlamentare europeo, eletto in Francia, Sandro Gozi. A lui si deve una serie di iniziative per lanciare in Italia un polo liberal-democratico sul modello francese. A Bologna, nel convegno di Renew Europe e dei democratici europei, è tornato a battere sul questo tasto: «Se nel ’17 Bayrou e Valls non avessero deciso di sostenere Macron, la storia sarebbe stata diversa”. Valls e Bayrou sono, volendo semplificare, l’equivalente francese di Renzi, Calenda, Emma Bonino e Della Vedova. Gente che non ha voti, sostengono gli avversari. Non li hanno perché sono frammentati e divisi, ribattono coloro – come Gozi – che sognano il fronte liberal-democratico a sostegno di un Pd capace di liberarsi dei Cinque Stelle, o quantomeno di ridurli a un rango subordinato. La vittoria di Macron potrebbe dare slancio al progetto, soprattutto ora che l’opzione Giuseppe Conte sembra ridotta a poca cosa: in parallelo con l’indebolirsi di una leadership che forse non è mai stata veramente tale.