la Repubblica, 21 aprile 2022
Intervista a Staino. Parla dell’Anpi
ROMA – Da vecchio iscritto all’Anpi, Sergio Staino è amareggiato e anche un po’ preoccupato. «L’Associazione nazionale partigiani sta subendo una metamorfosi politica che rischia di danneggiare le nobili ragioni per le quali è stata costituita», dice il giornalista e vignettista toscano.
Che tipo di metamorfosi?
«Se quella che doveva essere una istituzione di testimonianza, studio, conoscenza e approfondimento della Resistenza e della Liberazione – che sono la base della Costituzione e della nostra convivenza civile – viene usata come una struttura quasi di partito, in cui cioè si esprimono opinioni politiche sulla situazione dell’Europa e del governo, si esce parecchio fuori dal seminato».
Chi usa l’Anpi come struttura di partito e com’è potuto succedere?
«Con la progressiva scomparsa dei veri partigiani, alcune frange della sinistra radicale che non erano d’accordo su una democratizzazione dell’Anpi hanno pensato di trasformarla in una piccola barricata per la difesa di alcuni principi messi a loro giudizio in discussione. Ormai quando il presidente Pagliarulo parla, non lo fa a nome dell’Anpi, bensì di una corrente partitica. Quella dei Bertinotti, Diliberto, Rizzo e compagnia. Un tipo di gestione che sta portando l’Associazione a diventare il megafono di una politica estremista e minoritaria».
Sta dicendo che l’Anpi è ostaggio di una minoranza di estremisti?
«Più che ostaggio è un rifugio per posizioni che non mi sembrano maggioritarie nel Paese. Che la minoranza abbia voce va bene, però non deve rovinare l’Anpi, nata per difendere i valori della Resistenza e diffonderli nelle scuole, nella società, ma non con opinioni di parte».
Pagliarulo è stato però confermato a larga maggioranza.
«Mah, si sa come vanno i congressi, non mi pare ci sia stata una chiamata alla mobilitazione degli iscritti. Per questo a me piacerebbe che ora si aprisse un dibattito su cos’è l’Anpi: io vorrei fosse considerata come una fondazione, tipo Istituto Gramsci, con un grande archivio e materiali storici per far rivivere nella società l’insegnamento partigiano».
Così non si rischia di farne una ridotta per nostalgici?
«Noi che apparteniamo alla seconda o terza generazione, conosciamo il limite educativo e culturale di quell’insegnamento che per ragioni anagrafiche ha perso la forza della testimonianza diretta, ma piegarlo al dibattito politico è un errore. Io sono un riformista anarchico, sono dentro l’Anpi e non mi sento rappresentato dalle posizioni di Pagliarulo, mi riconosco molto di più in quelle del presidente onorario Smuraglia che difende la Resistenza senza forzature né ambiguità. Una cosa è iscriversi all’Anpi, altra iscriversi a un partito».
A proposito dell’invasione russa, Pagliarulo ha detto che bisogna “capire il contesto e le cause che hanno prodotto la situazione attuale”. Le sembra equidistante?
«Trovo incredibile che si cerchino attenuanti a un’aggressione militare che sta massacrando migliaia di civili, con stupri e bambini rapiti. Pagliarulo fa trasparire la visione putiniana del conflitto: anche il dittatore russo sostiene di essere entrato in guerra per colpa della Nato. Ma tirare fuori questo argomento significa giustificare l’offensiva di Mosca, io mi rifiuto».
Anche sull’invio delle armi agli ucraini l’Anpi si è detta contraria.
«L’Anpi, in quanto associazione partigiana, deve schierarsi a fianco di qualunque popolo combatta per la sua libertà e indipendenza. Conosco l’obiezione: ma ci sono dei nazisti dentro. Non importa. Non devi guardare ai governi, ma all’autonomia di un popolo che si batte per difenderla».
Insisto, il discrimine per l’Anpi sono le armi. Lei da che parte sta?
«Ma scusi, gli ucraini stanno morendo, li stanno sterminando, e noi che facciamo? Rimaniamo fermi e chiediamo solo di fare delle trattative con chi peraltro non ha alcuna intenzione di cessare il fuoco finché non si sarà preso tutto?».
La Resistenza ucraina può essere equiparata alla Resistenza italiana?
«La Resistenza è resistenza sempre, a qualunque latitudine e in qualsiasi epoca. Vuol dire che uno mette in gioco la propria vita per l’indipendenza del suo Paese. Là dove la libertà e la democrazia sono aggredite, là c’è resistenza e bisogna sostenerla in ogni modo».
Anche lei è tra quelli che pensano che l’Europa stia facendo troppo poco per la pace?
«Che ci siano grosse contraddizioni, soprattutto nei confronti delle sanzioni alla Russia, è evidente: stiamo pagando l’arretratezza culturale e politica dell’Unione. Ma mi sembra che, anche a causa di questa guerra sciagurata, la voglia di un’Europa più unita e forte sia crescendo. Per la prima volta mi sento parte di un’Europa che si sta interrogando e sta cercando una strada. In Italia solo tre leader sembrano averlo capito: Draghi, Mattarella e Letta, che si stanno muovendo tutti in questa direzione».