la Repubblica, 21 aprile 2022
Mosca vuole le acciaierie
RUBIZHNE – Il responsabile della sicurezza dell’impianto per la produzione di coke metallurgico di Adviivka siede nel suo ufficio e parla con le spalle alla finestra. Non ci sono sacchi di sabbia, non ci sono strisce di nastro adesivo sui vetri, non ci sono cartoni davanti alle finestre per l’oscuramento, mancano le misure di protezione che si vedono ovunque da queste parti – in una delle città ucraine più vicine alla linea di contatto con i separatisti. Tutt’attorno i bombardamenti accelerano da giorni, un’ottantina di edifici sono stati colpiti, la gente evacua perché l’artiglieria è un rischio continuo. La fabbrica nel suo genere è la più grande d’Europa ed è gemellata con la Azovstal, l’acciaieria di Mariupol che in questi giorni fa da fortino per gli assediati che resistono agli attacchi dei soldati russi. Sono state concepite come parti dello stesso sistema produttivo: il carbon coke prodotto qui andava ad alimentare gli altiforni di Mariupol. Entrambe sono di proprietà dello stesso oligarca ucraino, Rinat Akhmetov, dal potere immenso. E hanno in comune anche questa cosa: che i russi sono riluttanti a colpirle perché non vogliono distruggere impianti industriali così strategici in un territorio che pensano di poter controllare sul breve termine. Per questo ad Adviivka oggi c’è quest’aria di invulnerabilità surreale, ad appena due chilometri dalla città, e per questo il gigantesco polo siderurgico di Mariupol non è stato bombardato durante le prime settimane di assedio – quando ancora non si pensava che la battaglia sarebbe finita con una lotta metro per metro.
Il vice-direttore della fabbrica di carbon coke ci spiega che in questo momento l’impianto non produce nulla, è acceso soltanto per non danneggiare le macchine – per motivi tecnici quindi – in attesa di vedere cosa succede. È per questo che si vede vapore uscire da una ciminiera. Al lavoro viene un operaio su quattro, giusto per tenere le cose in ordine. Quanti sono gli operai in totale? Non si può dire, dato strategico. Nemmeno il suo nome si può scrivere, perché quando un territorio potrebbe passare di mano da un giorno all’altro è meglio tenere un profilo basso. Scendiamo nei bunker, sono di epoca sovietica, progettati per permettere agli operai di resistere a un attacco atomico. Sui muri ci sono le istruzioni su come comportarsi, appena macchiate d’umidità. Lo spirito è questo: le guerre passano, l’industria deve continuare.
Poco più a nord, a Kramatorsk, i missili balistici russi colpiscono altre fabbriche, che erano già dismesse o hanno chiuso per colpa della guerra e adesso sono sospettate di ospitare reparti di soldati ucraini. In due giorni i russi hanno bombardato una fabbrica di condizionatori d’aria e la fabbrica di cemento. Si vede che la protezione parziale accordata alla siderurgia non vale per le fabbriche minori. È una strategia dello sfacelo selettiva, certi impianti attirano più le bombe di altri a seconda del ruolo che hanno nell’economia nazionale.
A Mariupol le due fortezze degli assediati più difficili da espugnare sono state due acciaierie, la Ilych – caduta una settimana fa – e la Azovstal. Le industrie pesanti sulla costa sono in una posizione ideale e serviranno a far ripartire l’economia dopo la guerra, c’è forse anche questa considerazione nelle quattro offerte di cessate il fuoco proposte in tre giorni dai russi agli ucraini. Ieri il comandante dei marines ucraini asserragliati dentro la Azovstal, Sergey Volyn, ha chiesto di nuovo l’intervento di un Paese terzo per l’evacuazione dei civili e dei feriti dall’acciaieria – tutti intendono che sia una richiesta di aiuto alla Turchia, che già ha mandato una nave davanti al porto. Due negoziatori ucraini, David Arakhamia e Mikhailo Podolyak, sostengono che il governo di Kiev attende in queste ore una risposta da parte dei russi dopo che ha offerto la resa degli assediati in cambio dell’evacuazione sicura dall’acciaieria.