La Stampa, 21 aprile 2022
Intervista a Roberto Cingolani
Roberto Cingolani dice che l’Europa sta indirettamente finanziando la guerra di Vladimir Putin, spendendo un miliardo di euro al giorno per acquistare energia, e che è probabile un embargo totale del gas russo.
«Secondo me», ha detto in un’intervista il ministro della Transizione ecologica, «a breve dovremmo interrompere, per una questione anche etica, la fornitura di gas dalla Russia».
Ma il ministro si è dichiarato ottimista riguardo agli sforzi del governo Draghi per rimpiazzare il gas russo con un approccio su più fronti che include: nuovi e più sostanziosi contratti con fornitori del Medio Oriente, dell’Africa e dell’America del Nord; aumento della capacità del Tap per ricevere più gas dall’Azerbaijan; uso di rigassificatori galleggianti e potenziamento dei tre esistenti entro 12 mesi, per gestire nuovi acquisti di gas liquido; aumento della produzione nazionale; riempimento degli stoccaggi; decisa accelerazione verso l’obiettivo di una semplificazione del mercato delle rinnovabili, fino a 200 kilowatt di autoconsumo.
Cingolani ha anche predetto che grazie agli sforzi congiunti messi in campo dal primo ministro, dal ministro degli esteri e da lui stesso, in stretta collaborazione con Eni e altre compagnie, l’Italia raggiungerà un’indipendenza quasi completa dal gas russo nell’arco di 18 mesi. «Entro il secondo semestre dell’anno prossimo potremo cominciare veramente ad avere una quasi totale indipendenza», ha dichiarato.
Professore di fisica ed ex Chief Technology & Innovation Officer di Leonardo, Cingolani ha illustrato il piano energetico del governo in un’intervista per il mio nuovo libro “Il Prezzo del futuro”, in cui ha sottolineato con forza che non c’è bisogno di riscrivere il Pnrr.
«La nostra strategia è di sostituire questi 29 miliardi di metri cubi di gas che arrivano ogni anno in Italia dalla Russia attraverso il gasdotto del Tarvisio con altrettanto gas che però deve essere prodotto da Paesi che si trovano in continenti diversi e che sono anche loro connessi ai gasdotti», mi ha spiegato. «Rispetto a tutti gli altri paesi europei noi abbiamo il vantaggio di avere cinque gasdotti che ci collegano a nord, a sud e a est. Ovviamente, stiamo potenziando le rotte da sud e da est, come avete sentito c’è stato un accordo con l’Algeria. La settimana prossima e in questi giorni andremo in altri Paesi, soprattutto della regione africana, e prevediamo di arrivare a circa due terzi di quello che ci serve già nelle prossime settimane. Ovviamente, questo gas non arriva istantaneamente. Ma noi riteniamo che entro il secondo semestre dell’anno prossimo potremo cominciare veramente ad avere una quasi totale indipendenza».
Quindi non ci vorranno 24 o 36 mesi, come ha detto un mese fa? Ne basteranno 18?
«Esattamente», ha confermato Cingolani. «La strategia è basata da un lato sul fatto che noi manderemo al massimo il trasporto di gas nei gasdotti con i nuovi contratti, poi aumenteremo la capacità di rigassificazione. Il gas può essere trasportato nei gasdotti ma può essere anche liquefatto, cioè compresso, trasportato sotto forma di liquido e poi ritrasformato in gas con i rigassificatori. Stiamo potenziando anche questa caratteristica. Noi abbiamo 3 rigassificatori in Italia e ne aggiungeremo un paio che saranno galleggianti perché non devono rimanere per sempre, solo per il periodo che ci serve».
A questo punto l’ho fermato per chiedergli che cosa succederebbe se venisse sancito un embargo totale sul gas russo, non solo quindi sul petrolio e sul carbone. Gli ho ricordato che Mario Draghi ha detto che l’Italia può «tranquillamente» arrivare a ottobre con le attuali riserve. Ma che succede il prossimo inverno?
Cingolani mi ha prima esposto un’attenta e pensosa analisi dei fatti, poi mi ha confidato la sua opinione.
«È chiaro che tutta l’Europa è fortemente dipendente dalla Russia per il gas, e questo è stato un grave errore geopolitico fatto negli ultimi 20 anni. Adesso, è inutile pensare di risolverlo in un mese. Da un certo punto di vista però, questi soldi sono tanti, con l’energia diamo quasi un miliardo di euro al giorno alla Russia, e capite bene che stiamo indirettamente finanziando la guerra. Quindi tutti si stanno ponendo la questione di quanto questo abbia senso, anche eticamente. L’Italia è molto avanti nel processo di diversificazione e di rallentamento della dipendenza dalla Russia però, ripeto, non è una cosa che si fa in un mese. Il presidente Draghi ha detto molto correttamente: «Noi stiamo procedendo rapidamente e dobbiamo mettere in conto di fare questa cosa il prima possibile». C’è una posizione, che è quella dei tedeschi e degli austriaci, che hanno detto molto semplicemente: «Quando si fa una sanzione, questa sanzione non deve danneggiare chi la fa più di quanto danneggi chi la subisce». Suona un po’ cinico però ha anche un suo razionale, onestamente. Credo che al momento dobbiamo vederla in questo modo, ogni giorno che passa noi accumuliamo del gas nei nostri stoccaggi e sostanzialmente è circa un miliardo e mezzo di metri cubi ogni mese. Stiamo andando avanti, abbiamo fatto le aste e stiamo procedendo. Stiamo differenziando con una grandissima velocità le fonti, secondo me, a breve dovremmo interrompere per una questione anche etica la fornitura di gas dalla Russia, stiamo giocando tutto sulle settimane, dopodiché, se dovesse servire, qualche sacrificio si può fare».
Ho insistito su questo punto. Non teme che l’Italia possa venir messa in ginocchio, in termini di forniture di energia, da un embargo del gas?
«Sarebbe un problema importante», mi ha risposto, «però teniamo conto che stiamo parlando sostanzialmente del 40% del nostro gas in meno, che a sua volta è il 36% di tutta l’energia primaria».
Mentre parlava Cingolani ha messo le mani avanti – come dire che alla fine il 40 per cento del 36 per cento è uguale al 14 per cento dell’energia primaria totale, quindi forse non è la fine del mondo – e mi ha detto che secondo lui non è detto che sarebbe un disastro economico.
«Io credo che anche guardando le analisi macroeconomiche ci possa essere un impatto forte, però su questo c’è ancora un po’ un dibattito, c’è chi dice che sia molto forte e c’è chi dice che sia meno grave di quanto si possa temere».
Lasciando per un minuto da parte il tema energetico, sono tornato alla questione ecologica. Su questo non bisogna riscrivere il Pnrr? Quale sarà l’impatto della guerra sulla transizione green?
Cingolani ha ribadito che il Pnrr non si tocca. Anzi, si accelera. Una presa di posizione forte.
«Innanzitutto, dipenderà da quanto dura. Ora, noi come Paese stiamo facendo uno sforzo molto grande perché da un lato dobbiamo diversificare le fonti d’importazione del gas e dall’altro però cerchiamo di mantenere tutto tale e quale. Vorremmo utilizzare la stessa quantità di gas, non aumentarla, e nel frattempo continuiamo ad accelerare sulle rinnovabili e sulle altre fonti. Quindi, se la cosa non durerà troppo, credo che riusciremo a limitare i danni e nello stesso tempo a liberarci della dipendenza dall’importazione russa e mantenere la road map del 55% della decarbonizzazione prevista per il 2030. Ovvio, che se la guerra durasse troppo la cosa diventerà molto difficile».
Sul Pnrr ho chiesto al ministro come risponde ai tanti che dicono: «Ah, bisogna riscrivere la transizione ecologica».
«Do solo due numeri. Adesso, con l’ultimo decreto che verrà convertito in legge nei prossimi giorni abbiamo liberalizzato tutti gli impianti fotovoltaici sino a 200 kilowatt, che è una cosa importantissima per le aziende e per le persone. Si fa con un foglio e questo dà una grande accelerazione. Abbiamo lanciato i bandi sull’idrogeno e l’ultima asta per le rinnovabili ha assegnato 1,8 GigaWatt. Credo che da sola, nei primi mesi dell’anno, sia il doppio di quanto fatto l’anno precedente. Abbiamo sbloccato circa un GigaWatt di impianti che erano fermi per problemi autorizzativi con le intendenze e sovrintendenze paesaggistiche. Io credo che non sia questo il momento di riscrivere, perché le cose fatte in fretta non servono a nulla, noi dobbiamo cercare di limitare il danno di questa orribile guerra e non fermare il cronoprogramma di decarbonizzazione».
E come risponde, chiedo, a tutti gli italiani che sarebbero ben contenti di avere un accesso più facile al rinnovabile, al fotovoltaico, ma che anche in questo caso si lamentano del problema dei tempi della burocrazia? Cingolani non si è tirato indietro.
«È vero, abbiamo dei tempi molto lunghi. Con la transizione ecologica noi nel giro di un anno abbiamo ridotto del 70-80% i tempi medi, basta vedere la nostra nuova commissione per le valutazioni dell’impatto ambientale della Fast Track. Chi dice questo si riferisce soprattutto al pregresso. Ci sono centinaia e centinaia di cose che purtroppo gli anni li hanno persi già, e ora stiamo intervenendo anche per il recupero del pregresso. Quindi, io distinguerei le accelerazioni che abbiamo fatto per il Pnrr, che stanno funzionando molto bene e gli operatori ce lo riconoscono. Solo che queste sono proposte recenti, che hanno un anno. Adesso, con gli stessi criteri dobbiamo agire su proposte che hanno 2, 3, 4 anni e che sono ferme. Speriamo di sbloccarle».
Infine, ho chiesto al ministro di spiegare cosa può minacciare il Pnrr, a parte la guerra. Che risposta darebbe al sottotitolo del mio libro: «Perché l’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo?» Lui, da ministro-tecnico, ha citato il rischio politico.
«Nel contingente ci sono ovviamente sempre un po’ di tensioni a livello politico nella maggioranza, che il Presidente del Consiglio sta gestendo in maniera molto accurata. Però esistono. Direi anche che ci sono dei problemi di continuità perché il Pnrr noi lo inizieremo ma qualcuno lo dovrà continuare, quindi speriamo che venga data continuità di azione. Aggiungo anche che gli eventi recenti, che stanno facendo crollare l’economia, il Pil, e la questione energetica, certo non aiutano. Il Pnrr è nato in pieno Covid, il Covid non è del tutto sconfitto. In più c’è una guerra di proporzioni molto importanti. Insomma questo Pnrr sta faticando molto, per una serie di circostanze esterne che richiedono uno sforzo enorme. Però io resto positivo sul fatto che sia gestito bene, e quindi andiamo avanti».
Be’, quando lascio Cingolani non è che mi senta poi troppo rassicurato. L’embargo del gas russo sembra necessario al ministro per un dovere etico, per fermare la guerra di Putin, ma quanto farà male a noi, colpendoci come un boomerang? Qualche sacrificio si può fare, però. Il piano per l’autonomia dal gas russo invece mi sembra plausibile, anche se velocizzato a 18 mesi, perché sto seguendo da tempo gli itinerari di Di Maio, Cingolani e dei dirigenti di Eni in giro per il mondo. Gli italiani sono partiti prima dei tedeschi e degli altri per chiudere nuovi accordi di fornitura. Infine, la possibilità che l’emergenza causata da questa guerra acceleri la liberalizzazione del fotovoltaico e delle rinnovabili mi sembra un fattore positivo, a patto che la lentezza della burocrazia non renda inutile lo sforzo.