la Repubblica, 20 aprile 2022
La resistenza della Nabiullina
MOSCA – Quando fu nominata a capo della Banca Centrale russa nel 2013, Elvira Nabiullina entrò subito nella storia: prima donna a coprire la poltrona di governatrice tra le otto nazioni economicamente più forti (quando ancora c’era il G8). Da allora non ha fatto altro che schivare colpi: le sanzioni occidentali seguite nel 2014 all’annessione della Crimea e all’inizio del conflitto nel Donbass, la svalutazione del rublo, il crollo del prezzo del petrolio. Perciò aveva investito i suoi due mandati nella costruzione di una “fortezza fiscale” che rendesse il Paese impermeabile al potenziale assedio di nuove misure occidentali o alle fluttuazioni dei prezzi del petrolio: un fondo per “i giorni di pioggia” da 630 miliardi di dollari con una minima esposizione al dollaro. Ma non è bastato. Di fronte alla rappresaglia seguita al lancio della cosiddetta “operazione militare speciale” russa in Ucraina, è crollato tutto. Più di un terzo del fondo era in euro e l’Occidente ha avuto gioco facile a sequestrarne circa la metà. Oggi, come una moderna Sisifo, Nabiullina deve ricominciare da capo. E mentre il presidente Vladimir Putin continua a insistere che «il blitzkrieg economico occidentale è fallito» e che «l’economia russa ha resistito a una pressione senza precedenti», l’austera governatrice ammette candidamente di non aver trovato alternative alle principali valute di riserva dopo che le sanzioni l’hanno lasciata in possesso solamente di yuan e oro: «Dobbiamo guardare al futuro, ma al momento faccio fatica a dare suggerimenti specifici». In ogni caso, ha ammonito lunedì parlando a una commissione parlamentare, «è finito il periodo in cui l’economia può vivere di riserve». Tenuta all’oscuro sui reali piani militari del Cremlino, il 24 febbraio si era sentita frustrata e tradita, sostengono diverse fonti, tanto da aver presentato invano le dimissioni due volte, come anticipato da Repubblica a inizio marzo e poi ribadito da Bloomberg e Wall Street Journal, tra le smentite di Banca Centrale e Cremlino. Vladimir Putin per tutta risposta la ha riconfermata per un terzo mandato. E da bravo soldato qual è sempre stato, Nabiullina si è rimessa a lavorare. Anche se vuol dire smantellare tutto quello che ha impiegato nove anni a costruire. Schiva e riservata, è impossibile decifrare dove finisca la fedeltà e inizi l’ostinazione. Finora la massima manifestazione di dissenso è stata presentarsi all’incontro del 28 febbraio con Vladimir Putin, trasmesso in tv, vestita di nero, quasi a lutto, capo chino, senza una delle spille che solitamente usa per lanciare messaggi sulle sue mosse. Un falco per alzare i tassi, una colomba per abbassarli. Il primo marzo, parlando con il suo staff, ha persino rintuzzato i malumori: «So che non è facile, ma non entriamo in dibattiti politici in ufficio, a casa, sui social media. Esaurirebbero le energie di cui abbiamo bisogno per fare il nostro lavoro». Chi si aspettava un’uscita plateale è rimasto deluso tanto che ieri il Canada l’ha inserita nella lista nera dei sanzionati e molti invocano a gran voce che altri Paesi facciano lo stesso. Nata nel 1963 a Ufa, capitale della Baschiria, etnia tatara, mamma operaia, papà camionista, Nabiullina ha iniziato la sua precoce carriera subito dopo la laurea in Economia a Mosca. Fino a farsi notare da Putin che nel 2007 l’ha voluta nel suo governo come ministra dello Sviluppo economico e, dopo la sua rielezione alla presidenza nel 2012, l’ha portata con sé al Cremlino come consigliera economica per affidarle un anno dopo la poltrona più prestigiosa. E, nonostante tutto, Nabiullina per il momento resta lì. Al fianco di Putin. Prigioniera, si direbbe, della sua stessa fortezza.