Corriere della Sera, 20 aprile 2022
Su "Perché l’Ucraina" di Noam Chomsky (Ponte alle Grazie)
Il grande linguista Noam Chomsky segue l’Ucraina da anni. Le sue radici sono lì, ma non è questione di legami di sangue o di terra. La famiglia di Chomsky, attivista socialista libertario, è il genere umano. Minacciato dalla catastrofe climatica globale verso cui ci sta trascinando la guerra di Putin. Con gravi responsabilità degli Usa e della Nato che Chomsky denuncia da anni, come nell’intervista del 2018 raccolta in Perché l’Ucraina (libro che esce domani da Ponte alle Grazie). Con il Corriere, via mail, ha accettato di commentare i due mesi di guerra.
Quali precedenti storici le ricorda questa invasione?
«Come l’invasione americana dell’Iraq e l’invasione della Polonia da parte di Hitler e Stalin, l’invasione russa dell’Ucraina è un esempio da manuale di ciò che il Tribunale di Norimberga ha definito il “crimine internazionale supremo, che differisce dagli altri crimini di guerra in quanto contiene in sé la somma di tutti i mali”. Nel caso dell’Iraq, ciò include l’istigazione a conflitti etnici che hanno lacerato il Paese e la regione, l’ascesa di Isis e altri orrori».
E nel caso dell’Ucraina?
«È troppo presto per pronunciarsi sul “male come la somma di tutti i mali”, ma è già sostanziale, a prescindere dagli orrori in Ucraina. Ha invertito gli sforzi per affrontare la crisi del riscaldamento globale, suscitando un’euforia nei maggiori produttori di petrolio, liberati dal fastidio degli ambientalisti e lodati come salvatori della civiltà mentre raccolgono enormi profitti e accelerano la catastrofe globale. L’invasione rappresenta anche una minaccia di guerra nucleare, che potrebbe rapidamente diventare terminale. Ce ne sono altre, già evidenti, troppo complesse da discutere qui».
Putin va processato?
«In linea di principio, i criminali di guerra dovrebbero essere arrestati e processati. In pratica, i potenti sono autoimmuni. Solo i deboli e i vinti sono soggetti a processi per i loro crimini».
Dato che è una aggressione, partiamo dalla vittima, il popolo ucraino e il suo leader, Zelensky. Chi lo critica dice che è un burattino della Nato, chi lo esalta lo considera un eroe moderno. Per lei chi è?
«Zelensky ha mostrato grande coraggio e integrità nel guidare l’Ucraina in difesa dall’aggressione omicida».
La paura di una terza guerra mondiale può portare a pensare che il sacrificio dell’Ucraina sia preferibile a un potenziale conflitto nucleare. Gli ucraini però resistono e chiedono armi. È favorevole all’invio di armi in Ucraina?
«La nostra preoccupazione dovrebbe essere il destino degli ucraini. Il modo per salvarli da un ulteriore disastro è quello di passare a una soluzione diplomatica. L’invio di armi dovrebbe essere deciso in base al fatto che possa aiutare o danneggiare le vittime ucraine. Entrambi gli scenari sono possibili, ovviamente».
Questo tema è molto dibattuto in Italia, dove la Liberazione dal nazifascismo è stata possibile grazie agli Alleati e all’aiuto in armi che hanno dato alla Resistenza.
«La “liberazione” dell’Italia da parte degli Alleati è questione complessa. Quando le forze alleate liberarono l’Italia meridionale nel 1943, stabilirono il governo Badoglio e della famiglia reale, accogliendo i collaboratori fascisti, come nella Germania liberata. Mentre si dirigevano verso nord, disperdevano la resistenza antifascista e smantellavano gli organi di governo locali che i partigiani avevano formato nel loro tentativo “di creare le basi per un nuovo Stato democratico e repubblicano nelle varie zone che riuscì a liberare dai tedeschi”, cito Gianfranco Pasquino. Negli anni successivi gli Usa intervennero radicalmente in Italia per far sì che la destra conservasse il potere».
Riguardo la Resistenza, vede più differenze o similitudini tra quella italiana al nazifascismo e quella ucraina all’invasione russa?
«Ci sono naturalmente molte differenze tra la resistenza partigiana italiana e la resistenza ucraina guidata dall’esercito contro l’aggressione russa. La somiglianza cruciale è che entrambe sono eroiche e pienamente giustificate».
La sua famiglia è originaria di quei confini. Sente dei legami particolari?
«La famiglia di mia madre lasciò quella che oggi è la Bielorussia quando lei era una bambina, nel 1905. La famiglia di mio padre fuggì dall’Ucraina zarista nel 1913. Ma non ho mai sentito parlare di legami con quelle terre. A parte i parenti stretti di mio padre, tutti gli altri furono sterminati, a quanto pare, e probabilmente l’intera comunità ebraica nella loro piccola città. L’ultimo parente conosciuto fu ucciso nel 1942 da nazisti ucraini, secondo lo Yad va-Shem. Ma devo dire che la colpa è diffusa. Nel 1924, gli Usa approvarono la loro prima legge razzista sull’immigrazione, più o meno contro italiani ed ebrei, mandando indirettamente molti ebrei nei campi di sterminio».
Dagli aggrediti all’aggressore, Putin. È un tiranno passivo-aggressivo? Un terrorista geopolitico senza un piano B?
«Ci sono due modi per determinare cosa ha in mente Putin. Uno è speculare sulla sua mente contorta. L’altro è ascoltare quello che dice da tempo. Per 30 anni il governo degli Usa è stato avvertito, in modo fermo e chiaro, che stava perseguendo un percorso pericoloso e inquietante respingendo le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e, in particolare, le sue esplicite linee rosse: nessuna adesione alla Nato per Georgia e Ucraina, nel cuore geostrategico della Russia. Gli avvertimenti sono arrivati dai diplomatici più rispettati (George Kennan, Henry Kissinger, l’ambasciatore Jack Matlock), dagli attuali ed ex direttori della Cia. Il segretario alla Difesa di Clinton, William Perry, è andato vicino alle dimissioni in segno di protesta quando Clinton ha deciso di violare la ferma e inequivocabile promessa del suo predecessore a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe allargata “di un pollice a est”, vale a dire a est della Germania».
L’invasione di Putin ha ridato peso alla Nato e indebolito ancor di più l’Onu, la cui architettura non è in grado di difendere il principio fondamentale della Carta, l’autodeterminazione dei popoli. Come rilanciare concretamente il ruolo dell’Onu?
«L’Onu può agire nella misura in cui lo consentono i cinque membri permanenti. Hanno bloccato qualsiasi tentativo di agire da parte del Consiglio di sicurezza o di altre istituzioni dell’Onu quando ciò lede i loro stessi interessi. Per cambiare questa situazione i movimenti popolari devono costringere i loro governi a consentire alle Nazioni Unite di agire in modo indipendente. Non è un sogno impossibile, ma ci vorrà molto lavoro».
In Europa, in Occidente, abbiamo una visione limitata della crisi ucraina?
«La mappa delle sanzioni è chiara. La maggior parte del mondo non partecipa. Le sanzioni sono state imposte dall’anglosfera, dall’Europa e da quelli che l’Apartheid sudafricana aha definito “bianchi onorari” come il Giappone. Praticamente il mondo intero condanna duramente l’invasione russa, ma aggiunge “E allora?”. Ribattendo che gli Usa e i loro alleati sono impegnati in atrocità scioccanti proprio in questo momento: in Afghanistan, Yemen, Palestina...».
Come evitare che l’Ucraina diventi una nuova Cecenia?
«Le guerre possono finire con la distruzione di una parte in causa, come in Cecenia o Iraq, o con una soluzione diplomatica. Nel caso dell’Ucraina, i contorni di base di un accordo diplomatico sono chiari da tempo: neutralizzazione dell’Ucraina come l’Austria durante la Guerra Fredda e qualche accordo sulla falsariga di Minsk II per una federazione con notevole autonomia per la regione del Donbass. Ma gli Stati Uniti si rifiutano ancora di perseguire una soluzione diplomatica, così come la Cina, che potrebbe anche assumere un ruolo costruttivo se lo volesse».