il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2022
Sergio Romano parla della guerra in Ucraina
«È una guerra civile, anzi una doppia guerra civile. La prima si combatte lungo il crinale che divide l’est dall’ovest dello stesso Paese. La seconda è quella che la contiene. E una guerra civile di queste dimensioni è più odiosa, più crudele, più terribilmente cruenta. A oggi penso che non ci sia possibilità alcuna di immaginare la pace, o anche la tregua e nemmeno un negoziato di una qualche serietà».
Ambasciatore Sergio Romano, in Italia lei è stato tra i primi a enumerare gli errori tattici e strategici dell’Occidente, ad avanzare dubbi sull’utilità della Nato, a illustrare i pericoli che corre Putin. È stato tra i primi a definire la neutralità dell’Ucraina come premessa.
Finisco la riflessione. Nella condizione data, quando le forze dei due belligeranti ancora sembrano quasi equivalersi, nessuno dei due può immaginare neanche di parlare di trattativa. Il solo fatto di evocarla trasformerebbe il Paese proponente in un perdente.
È così enormemente destabilizzante parlare di pace?
Destabilizzante, esatto. Si trarrebbero giudizi negativi verso quella parte che cercasse con più insistenza di trovare una soluzione.
È orribile questa condizione.
È orribile la guerra. Ed è ancora più orribile la guerra civile. Sono due eserciti che parlano la stessa lingua, che si intendono. E il confronto, come sempre accade quando la contesa è dentro la famiglia, sarà così duro che colui che perde la guerra perderà la vita o, se sarà fortunato, la propria identità. Scomparirà dal proscenio civile e politico, non avrà alcuna speranza di far sentire la propria voce.
Lei, 50 giorni fa, riferì che l’Ucraina dovesse avere lo status di una Svizzera dell’Est. Più povera di quella che conosciamo, ma simile nella struttura costituzionale e nel destino di neutralità della propria esistenza. Da ambasciatore a Mosca ai tempi dell’Unione sovietica disse che finita la Guerra fredda non c’era motivo di tenere in piedi la Nato. Bisognava aggiornarla, rimodularla. Ma noi europei non avevamo fatto i conti con gli Usa…
Joe Biden vuole vincere il confronto con Vladimir Putin. Si dice che quest’ultimo sia avvantaggiato dall’assenza di un’opinione pubblica, dalla struttura piramidale e inattaccabile del potere domestico. Invece anche lui ha da dare delle risposte alla sua società civile.
Perché gli Stati Uniti hanno evitato con cura ogni azione che potesse favorire un negoziato?
Gli Usa non hanno fatto niente, vero. Ma perché, lei crede che la Gran Bretagna si sia spesa tanto per trovare una buona ragione per fermare la guerra?
Perché questa astenia, questa coincidente volontà di far deflagrare una contesa che può allargarsi fino a raggiungere le nostre case?
Perché gli Stati Uniti (ma anche i britannici e perfino i francesi) sono potenze che non amano rischiare di fare un buco nell’acqua. Washington si sarebbe spesa solo con la garanzia di un successo dell’ipotetica soluzione.
E adesso ci tocca contare i massacri quotidiani
Ci toccherà assistere alla più sanguinosa delle battaglie, ci toccherà documentare il buco nero di civiltà nel quale siamo caduti. Non sappiamo ancora cosa resta nel terreno, ancora non è chiaro chi uscirà vivo.
I russi hanno numeri ineguagliabili dagli ucraini.
Ma ancora non hanno vinto.
L’Europa immobile. Si dice che il fatto di non parlare con una sola voce, di non rispondere a un unico numero di telefono la esponga a questa perenne marginalità.
Quando la guerra sarà finita sapremo cos’è stata l’Europa.
Ora non resta che aggiornare la conta dei morti
La peggiore situazione immaginabile.