il Giornale, 20 aprile 2022
Un milione di contributi all’Anpi
Pacifisti ma anche «combattenti», a seconda del momento e soprattutto delle convenienze. In fatto di guerra e Resistenza, i partigiani di sinistra sanno indossare i panni giusti: quelli che convengono, anche a ridosso del 25 aprile. E a giudicare dai documenti, trattasi di convenienze non di poco conto, visto che in 10 anni hanno incassato fior di contributi dal governo.
A un milione di euro circa ammontano, infatti, i fondi pubblici versati all’Anpi, organizzazione inserita in tutti decreti ministeriali che prevedono il riparto dello stanziamento per le sigle combattentistiche e d’arma (l’ultimo è di una settimana fa).
Il corto-circuito è evidente, di natura ideale, storica e non solo. A una settimana da un 25 aprile particolarmente sentito per la guerra d’aggressione russa, la sigla di area comunista si trova al centro della critiche. Il caso è esploso con clamore quando l’Anpi ha chiesto una «commissione d’inchiesta indipendente» sull’eccidio di Bucha, città alle porte di Kiev teatro di autentiche atrocità da parte degli invasori. Una posizione contestata anche a sinistra. Nei commenti più benevoli, si è parlato di una sospetta equidistanza fra Ucraina e Russia. Un’equidistanza contestata apertamente dall’Associazione dei Partigiani cristiani, che riconoscono la necessità di sostenere la resistenza ucraina, assimilabile alla Resistenza italiana. Ma anche i settori più equilibrati interni all’Anpi hanno cercato di correggere il tiro. Il presidente della sezione milanese Roberto Cenati, ha parlato di una «legittima resistenza» e ha riconosciuto che la resistenza di fronte a un’aggressione armata «non si può fare senz’armi».
Eppure il presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo (ex responsabile propaganda di Rifondazione comunista, ex cossuttiano del Partito Comunista d’Italia) ha tenuto il punto. «Non sono putiniano – si è dovuto giustificare – Antifascista sempre e condanno l’invasione dell’Ucraina – ha premesso – Continueremo a condannare un’ invasione sanguinosa, a sostenere il cessate il fuoco e il ritiro dei russi, a dire no all’invio di armi: l’obiettivo è la pace».
«Pace» invoca un’organizzazione nata addirittura nel 1944, in piena guerra partigiana. Non vuole mandare armi a Kiev, nei manifesti disegna bandiere pacifiste alle finestre e cita – a metà, la parte che conviene – l’articolo 11 della Costituzione italiana, sull’Italia che «ripudia la guerra...».
Pacifisti integrali dunque, che ottengono contributi con le sigle combattentistiche e d’arma. Avviene in vario modo dalla fine degli anni Novanta (12 miliardi concessi dal ’98 al 2000) e in particolare dal triennio 2005-2007, quando le sigle combattentistiche e partigiane – riunite in Confederazione nel ’79 – hanno organizzato col ministero le celebrazioni per il 60° della Liberazione. Un dossier prodotto nel 2020 dal servizio studi della Camera contiene una tabella da cui si evince un totale di 800mila euro circa di fondi, per l’Anpi, dal 2013 al 2020.
Nel 2021 la cifra annuale è stata sostanzialmente confermata e come da prassi l’ultimo schema di decreto – per il 2022 – è stato trasmesso una settimana fa dal ministro Lorenzo Guerini al Parlamento – per il canonico parere della commissione Difesa. Prevede altri 94mila euro.