La Stampa, 20 aprile 2022
Gli 80 anni di Barbra Streisand
Quando mi hanno chiesto di scrivere qualcosa per gli 80 anni di Barbra Streisand (li compie il 24 aprile) sono andata su Youtube per riascoltare qualche sua vecchia canzone. L’algoritmo ti propone subito le più famose: Woman in love; Guilty; The Way We Were; Papa, can you hear me? Non so a che punto è entrato nella stanza mio figlio, ventenne. Io questa voce la conosco, ha detto. Sai chi è? ho chiesto sbalordita. Certo, la Streisand. Ecco, in queste tre parole di un ventenne – certo la Streisand – c’è già tutto.
Di come si diventa leggenda globale, icona universale e transgenerazionale è difficile spiegare. Altri artisti hanno scavalcato la loro epoca e sono entrati nelle playlist e nell’immaginario dei ventenni. Ma Barbra Streisand è qualcosa di diverso e piuttosto unico per il modo in cui ha raggiunto il successo, cioè non adattandosi ai modelli di donna necessari ad imporsi, ma imponendo il proprio modello. Che è quello dell’eroina coraggiosa che sfida le avversità, segue i propri sogni, non scende a compromessi e raramente ottiene il lieto fine. Una bruttina di successo, insomma. Una donna in cui tutte si possono riconoscere, perché il lieto fine oltre a essere stucchevole, accade raramente e solo per brevi periodi. Lei lotta, ma raramente ne esce vittoriosa. Quella lotta, ovviamente, è il motivo per cui la amiamo. Come ha osservato il biografo Neal Gabler, i suoi ammiratori apprezzano Streisand non perché rappresenti un ideale irraggiungibile, ma perché si identifiano con lei: «Non sembrava una star del cinema. Somigliava a noi, parlava come noi, si comportava come noi, soffriva come noi». La sua voce è innegabile, ma il suo personaggio – il perdente sfacciato e ambizioso – sembra ancora più essenziale per decretarne l’ingresso nella categoria delle donne-icona.
Ho riguardato anche alcuni spezzoni di due suoi film. Prima di tutto Funny girl (del 1968), che contiene elementi fortemente autobiografici. Fanny, una ragazza ebrea di New York con una voce celestiale non riesce a trovare una parte e iniziare la sua carriera teatrale perché non è bella e non corrisponde ai canoni comuni delle ragazze colorate e cinguettanti, doti necessarie per salire sul palco. La protagonista otterrà la parte e il successo grazie alla sua voce e poi rovinerà tutto per colpa del suo carattere e per non voler fare alcune scelte.
Ma il capolavoro rimane Come eravamo (del 1973, regia di Sydney Pollack), il film che l’ha consacrata come icona della perdente che tutte vorremmo essere. Anche qui è un’ebrea newyorkese super impegnata politicamente, comunista, pacifista e femminista che ritrova il suo amore del college, il bellissimo e biondissimo Robert Redford nei panni di un conservatore super Wasp (alta borghesia bianca protestante), con cui prova a ricostruire la storia d’amore e da cui avrà anche un figlio, ma dal primo momento lo sai che andrà a finire male, perché troppi sarebbero i compromessi morali da accettare per abbandonarsi all’amore con il tuo opposto, che pure ti attrae. Lo scambio di battute nella scena finale è da incorniciare: «Tu non molli mai, eh?», chiede lui. «Solo quando ci sono proprio obbligata. Però so perdere molto bene». «Meglio di me». «Io ho fatto più pratica». Lui se ne va, lei torna a distribuire volantini contro la guerra.
Barbra la perdente, anche se si fatica a definirla così se guardiamo alla carriera di questa donna che ha vinto tutto e di più: 2 Oscar (con questi due film), 5 Emmy, 10 Grammy, 11 Golden Globe, 1 Tony Award, insomma tutti i più alti riconoscimenti nella musica, nel cinema e nel teatro. Più di 50 album, 30 dischi di platino, oltre 370 milioni di dollari guadagnati in una carriera che dura da oltre 60 anni, filantropa e attivista per i diritti civili.
Barbra l’ebrea dal nasone e dalla lingua tagliente, nei panni di personaggi femminili che sono alieni alle altre donne e non si capisce mai bene se sia l’identità ebraica a fare la differenza e a renderli così estranei. Barbra l’eroina alla rovescia, Barbra che non rinuncia alla lotta, per ottenere ciò che merita, ma che raramente ne esce vittoriosa. Le bombe sexy degli schermi della sua generazione morivano di amore romantico e/o tragico oppure si sposavano con il principe azzurro. I personaggi di Barbra vengono lasciati spesso da uomini spaventati dalla sua intensità o dal suo carattere o dalla sua fermezza morale, o vengono traditi. Ma che sollievo vedere che queste donne imperfette, anche insopportabili certe volte, sopravvivono lo stesso e non si strappano i capelli se non arriva il vissero tutti felici e contenti. —