la Repubblica, 20 aprile 2022
I non detti di Conte tra Trump e Russia
La doppia opacità dei rapporti di Conte sia con la Russia sia con il presidente americano Trump, l’uomo del famoso “Giuseppi”, getta un’ombra sulla politica attuale: in particolare lambisce quell’alleanza tra Pd e M5S di cui l’ex premier continua a essere un perno, benché abbia perso lo status di “forte riferimento di tutti i progressisti”.
Di fatto le rivelazioni di Repubblica sulla visita romana del ministro della Giustizia trumpiano segnano un salto di qualità nel tentativo di ricostruire i non pochi misteri del biennio “grillino”. Prima il governo Conte con 5S e Lega; poi il secondo governo Conte con 5S e Pd. Un duplice esercizio acrobatico con radicale cambio di alleanze, ma in entrambe le circostanze il baricentro era il giurista pugliese.
Questa è storia nota. Meno evidenti sono i risvolti di cui si torna a parlare oggi, anche in relazione alla fatidica missione sanitaria russa in Italia agli albori della pandemia. Nessuno si stupirebbe se la rete di potere costruita con pazienza dall’allora premier intorno a se stesso fosse prossima a svelare tutto il “non detto”.
Del resto, le circostanze sono propizie. In un batter d’occhio il nostro Paese è passato dall’essere il governo dell’Europa occidentale più comprensivo verso Mosca – sia pure per vie traverse – a realizzare con Draghi, chiamato dal Quirinale in nome dell’emergenza, un assetto di assoluta lealtà atlantica. Il che, lo sappiamo, rientra nella tradizione politica del dopoguerra, più solida di qualche giro di valzer. Tuttavia è evidente che l’attuale presidente del Consiglio, fra tutti i governanti dell’Unione, è forse il più vicino all’amministrazione democratica di Joe Biden e il più attento a condividerne le linee strategiche, a cominciare ovviamente dal giudizio sull’Ucraina.
Viceversa Giuseppe Conte si è sforzato di smussare alcune vecchie posizioni, ma, come si dice, il passato non passa. Per cui ecco rispuntare i maneggi con un Trump in cerca di dossier da usare in campagna elettorale contro il rivale Biden. Ed ecco le manovre alquanto velleitarie di Palazzo Chigi per proporsi come “facilitatore” del rapporto tra Stati Uniti e Russia in quel particolare frangente, considerandosi l’amico privilegiato delle due potenze.
Ora che lo scenario è cambiato, non stupisce che le scorie del vecchio progetto riemergano dall’oblio. I rapporti con Mosca non furono certo una prerogativa di Conte e dei 5S: Salvini con la Lega ancora ne paga il prezzo e Berlusconi solo di recente ha rotto l’amicizia con Putin. Tuttavia è Conte a trovarsi più a disagio. In primo luogo perché è lui nel mirino delle inchieste giornalistiche. Poi perché l’ex premier si presenta come il capo, non esente da ambiguità, di un M5S tuttora maggioranza in Parlamento, partner di quel Pd che Enrico Letta ha collocato su di una linea senza equivoci pro-Nato.
Torna quindi il solito quesito: è ipotizzabile che nulla cambi nel centrosinistra se dovessero emergere altri particolari imbarazzanti o addirittura inaccettabili a proposito del biennio del doppio governo “grillino”?
Senza dubbio in tali frangenti l’unità d’azione chiesta da Draghi rimane problematica. Ci sono i noti dissensi sui temi di politica economica ed energetica.
Ma c’è qualcosa di più che tocca una zona grigia in politica estera su cui si cerca di gettare luce. Vedremo. Potrebbe essere il fattore decisivo in grado di spingere Letta e il Pd verso un chiarimento definitivo con i 5S.