la Repubblica, 20 aprile 2022
Nel 2022 l’Italia crescerà solo del 2,3%
MILANO – Una «crisi sulla crisi» con «impatti umanitari devastanti» e un «massiccio contraccolpo sulla crescita» globale, dice la direttrice del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva. La guerra in Ucraina domina il World economic outlook dell’Fmi, che a causa degli effetti del conflitto sforbicia ovunque le sue stime sul Pil. Quello globale salirà del 3,6% quest’anno, dal +4,4% preventivato a gennaio. Risultato che verrà bissato nel 2023 (-0,2 punti sulla precedente stima). L’Armata russa ha colpito anche un’economia che ancora non si era ripresa del tutto dalla pandemia, e che già stava sperimentando i morsi dell’inflazione. Problema ingigantito dalle ripercussioni della guerra sui prezzi energetici e delle materie prime agricole. «Come le onde sismiche, si propaga sui mercati delle commodity, sui commerci e sui mercati finanziari», l’immagine scelta dal capo economista Pierre-Olivier Gourinchas.
Con una economia tipicamente manifatturiera e una maggiore dipendenza dalle forniture di gas russo, l’Italia è, insieme alla Germania, tra i Paesi europei a pagare il conto più salato del nuovo shock. La previsione del Fondo per il Pil tricolore scende per quest’anno al +2,3%: 1,5 punti in meno rispetto alle stime di gennaio e 1,9 su quelle autunnali. Numeri che si confrontano con il Def da poco approvato dal governo, che fissa la crescita tendenziale del 2022 al 2,9% e al 3,1% nel quadro programmatico, ovvero includendo gli effetti di sostegno all’economia attesi dal nuovo decreto da circa 6 miliardi in rampa di lancio. Considerando che l’anno era iniziato con una spinta “acquisita” del 2,3%, derivante dal forte rimbalzo del 2021, per l’Italia il pericolo di una stagnazione di fatto non è remoto. Per il 2023, invece, il Fondo mette in conto una crescita italiana all’1,7 per cento. La disoccupazione, invece, è vista in calo marginale dal 9,5 al 9,3%, per poi risalire di nuovo nel 2023.
Nello sguardo globale degli economisti di Washington, l’inflazione non è più un rischio ma un «chiaro pericolo». La stima è ora di una crescita dei prezzi del 5,7% quest’anno nelle economie avanzate e dell’8,7% in quelle emergenti, 1,8 e 2,8 punti in più di gennaio. Un quadro che complica la vita delle Banche centrali (altro elemento di debolezza), chiamate a spegnere il fuoco dei rincari senza danneggiare l’economia. Equilibrismo più complicato per la Bce, visto che l’eurozona paga un conto più salato al conflitto. A ciò si aggiungono i lockdown cinesi per affrontare la nuova ondata Omicron, altro «rischio al ribasso» all’orizzonte, insieme al fatto che i governi hanno meno spazio fiscale per stimolare la ripresa visto l’incremento dei debiti, pubblici e privati, dovuto alla pandemia.
L’evoluzione della guerra resta, in ogni caso, il pericolo numero uno. Il Pil russo scenderà dell’8,5% quest’anno, quello ucraino precipiterà del 35 per cento. In uno scenario con piene sanzioni energetiche a Mosca, il contraccolpo sull’economia russa raddoppierebbe. Ma anche l’Europa dovrebbe mettere in conto di rinunciare al 3% del suo prodotto.