la Repubblica, 20 aprile 2022
A Henichesk occupata torna la statua di Lenin
Risorto dal nulla, Vladimir Il’ic Lenin torna a svettare sulla piazza di Henichesk. Segato in tre pezzi e rimosso, all’epoca della decomunistizzazione dell’Ucraina, riassemblato nei giorni scorsi e quindi sistemato dove era un tempo, proprio davanti alla sede del governo regionale di Kherson. Forse era finito in un magazzino, difficile pensare che i russi se lo siano portato dietro per migliaia di chilometri, e apposta per piazzarlo in una cittadina di neanche 20mila abitanti. Comunque sia, Lenin è tornato. Le truppe di occupazione arrivate fin qui, a poca distanza dalla Crimea, hanno trovato il tempo per la ricomunistizzazione, e hanno anche issato sul pennone più alto la bandiera della Russia, con quella dell’Unione Sovietica. Falce e martello, tutto come una volta, che è poi il sogno di Putin.
Yuri Sobolevsky, funzionario ucraino, ha annunciato l’installazione della statua in un post su Facebook: «Gli orchi nella regione di Kherson continuano i loro esperimenti per tornare indietro nel tempo. Bandiere rosse, monumenti dell’era sovietica. E tutto questo sullo sfondo di una crisi umanitaria che peggiora, una severa repressione del dissenso e manifestazioni pubbliche. Il loro motivo è assolutamente trasparente: si stanno comportando come sciacalli, facendo leva sui sentimenti nostalgici della popolazione».
Il 16 luglio 2015 il Lenin in lega di acciaio era stato fatto fuori su ordine del consiglio comunale della città, e così era successo in altre località, centri grossi o piccoli dove sempre la via principale era intitolata a Lenin. Via i ricordi del passato, e alcune città avevano addirittura cambiato il proprio nome: Dnepropetrovsk era diventata Dnipro, e Artemovsk, Bahmut, e via così. A Kiev, dove resiste il grande Arco di titanio che celebra l’amicizia tra i popoli russo e ucraino (qualcuno però ci ha disegnato sopra una crepa nera), nel 2018 il grande ponte Moskovskyi che attraversa il Dnepr era diventato Pivnichnyi, cioè “ponte del Nord”. Ma ci vuole evidentemente così poco, per tornare all’antico, e gli orgogliosi ucraini stanno patendo il colpo. Oltre ai danni enormi della guerra – gli eccidi, gli stupri, le rappresaglie, le città distrutte – la beffa dei simboli che tornano. L’occupazione dei territori si concretizza in questi segni del comando. Mariupol non è così lontana da Kherson, e quella città è più di un simbolo per entrambe le parti. Della resistenza per gli ucraini, della riconquista per i russi, che peraltro ci hanno già piantato sopra molte bandiere, e sventolano gagliarde su uno sfondo sempre uguale: rovine.