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 2022  aprile 20 Mercoledì calendario

Stagflazione in arrivo

Le previsioni pubblicate ieri nel World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) illustrano bene come la guerra in Ucraina abbia effetti economici in tutto il globo, seppure con modalità ed estensioni diverse. Ma partiamo dal quadro generale.
Il Fmi rivede verso il basso la crescita del Pil mondiale portandola al 3,6 per cento nel 2022, quasi un punto percentuale meno di 3 mesi fa. È una pesante revisione anche se niente di comparabile con la revisione di oltre 6 punti percentuali annunciata tra il gennaio e l’aprile 2020.
Insomma lo shock della guerra è, per ora, meno di un sesto dello shock Covid. Due considerazioni devono però essere aggiunte. La prima è che la previsione del Fmi è basata sull’ipotesi che la guerra non si estenda oltre l’Ucraina e che il settore energetico non sia colpito da ulteriori rilevanti sanzioni, incluso quindi che l’Europa non decida di interrompere gli acquisti di gas dalla Russia. La seconda è che l’impatto della crisi ucraina sulle varie regioni del mondo è meno omogeneo di quello del Covid.
La differenza più marcata è tra Europa e Stati Uniti. Il tasso di crescita del Pil americano è rivisto verso il basso dello 0,3 per cento, quello dell’area dell’euro di quasi quattro volte tanto: -1,1 per cento. Anche all’interno dell’area dell’euro ci sono differenze marcate. In conseguenza della loro maggiore dipendenza dal gas russo e della loro natura più manifatturiera, Germania e Italia pagano uno scotto più alto: la crescita in Italia è rivista verso il basso dell’1,5 per cento, quella tedesca dell’1,7 per cento. In contrasto, la Francia ha una revisione di solo lo 0,6 per cento. Da notare che il Fmi prevede una crescita per quest’anno molto inferiore a quella prevista dal governo italiano (3,1 per cento) nel recente Documento di Economia e Finanza (Def). Una crescita del 3,1 per cento comporterebbe, dopo una discesa nel primo trimestre prevista dallo stesso Def, un tasso di crescita medio del Pil trimestrale nel resto dell’anno dello 0,8 per cento, una bella accelerazione.
L’Fmi è più pessimista: una crescita annuale del 2,3 per cento implica una crescita in corso d’anno vicino allo zero.
E la Russia? Risentirà delle sanzioni? La risposta del Fmi è sì. Il Pil russo è previsto scendere quest’anno dell’8,5 per cento e del 2,3 per cento nel 2023. Ha ragione quindi la governatrice della banca centrale russa Nabiullina a essere preoccupata. Detto questo, i dati concreti su come stia andando l’economia russa sono ancora scarsi e il margine di incertezza resta quindi elevato. Quello che è invece certo è il disastro che l’attacco russo sta causando all’economia ucraina il cui Pil è previsto crollare del 35 per cento.
Nel resto del mondo abbondano i segnali negativi nella tabella del Pil. Anche la Cina sta peggio ma non di molto: la revisione è solo dello 0,4 per cento e in parte è dovuta alla ripresa del Covid. Un’eccezione alle diffuse revisioni al ribasso è data dai produttori di idrocarburi: la crescita dell’Arabia Saudita è rivista al rialzo di quasi 3 punti percentuali, quella della Nigeria dello 0,7 per cento.
Persino per il Venezuela si prevede una ripresa economica dopo anni di crisi.
L’aumento del prezzo delle materie prime è il principale canale attraverso cui la guerra sta impattando sulla crescita mondiale. E sull’inflazione. Qui però il Fmi è più ottimista: è vero che ora prevede che l’inflazione resti alta per un periodo “più prolungato del previsto”. Ma continua a vedere un forte ridimensionamento del fenomeno già nel 2023. In Italia l’inflazione, al 6,5 per cento nei dodici mesi terminanti a marzo, scenderebbe al 2,5 per cento nel 2023.
Nell’Eurozona si passerebbe dall’attuale 7,5 per cento al 2,3 per cento. Negli Stati Uniti dall’8,5 per cento al 2,9 per cento. Mi sembra difficile. È vero che, come sottolinea il Fmi, le aspettative inflazionistiche sono aumentate di poco per il medio periodo. È vero che il prezzo delle materie prime non può salire di continuo. Ma gli aumenti di prezzo si stanno estendendo, soprattutto negli Stati Uniti ma con qualche segnale anche da noi, al di là dei prezzi dell’energia. E le banche centrali sembrano riluttanti ad aumentare significativamente i tassi di interesse che, al netto dell’inflazione, risultano ora molto negativi.
In conclusione, se tutto questo vi ricorda la parola stagflazione, non siete i soli