Corriere della Sera, 20 aprile 2022
Il problema di avere due Papi
All’inizio del libro ci si sente come si è sentito l’autore, quando entrò nel monastero per un’intervista ripresa dai media di tutto il mondo: eccoci «di fronte al sorriso disarmante, enigmatico di Benedetto, immobile su una poltrona, vestito di bianco come se fosse ancora Papa regnante e non l’“ex” più famoso del mondo… i polsi magrissimi che spuntano dai polsini della camicia con i gemelli, l’orologio a sinistra e a destra un termometro da polso per misurare costantemente lo stato del suo cuore, i sandali marroni di cuoio, l’immagine di un uomo di vetro che potrebbe rompersi alla prima folata di ponentino: è questo a rendere il Monastero Mater Ecclesiae il posto più strano e interessante del Vaticano. Eppure quella fragilità resiste da nove anni…».
Massimo Franco da sempre studia il potere. Il suo reportage-inchiesta su Bettino Craxi (Hammamet) e la sua biografia di Giulio Andreotti sono long-seller che hanno esplorato la crisi della Prima Repubblica. Poi, di fronte all’evidente declino anche intellettuale e culturale della politica italiana, Franco ha spostato il centro della sua analisi sul Vaticano, cui ha dedicato alcuni saggi di successo, proiettando la Santa Sede sulla dimensione che le è propria del grande gioco geopolitico del mondo globale. Solferino ha pubblicato due anni fa L’enigma Bergoglio, e ora stampa un libro dedicato all’altro lato della medaglia: Il Monastero. Benedetto XVI, nove anni di Papato ombra.
È un viaggio, a volte anche fisico, all’interno delle mura vaticane. Dove l’appartamento apostolico, per secoli la residenza del Papa, è vuoto. Ma dove di Papi ce ne sono due. Il primo, quello regnante, in un residence chiamato Casa Santa Marta, stanza 201. L’altro, quello emerito, in un convento di clausura, abitato soprattutto da donne. Una situazione senza precedenti nella storia, non regolata da alcuna norma, e per questo foriera di incomprensioni, di rivalità, di scontri sotterranei non tanto tra Ratzinger e Bergoglio quanto tra i rispettivi entourage, e tra due schieramenti che si combattono – sino ai limiti dello scisma – per stabilire in quale direzione debba andare la Chiesa, in un tornante della storia della cristianità e dell’umanità.
Tutto comincia con la rinuncia di Benedetto. Che sente le forze venir meno, che avverte la fine vicina. «Nessuno avrebbe detto – scrive Massimo Franco – che il “papato parallelo”, quello del Monastero, avrebbe accompagnato per tutto il tempo il pontificato argentino di Casa Santa Marta; che lo avrebbe affiancato, aiutato e poi, senza volerlo e senza cercarlo, sfidato per volontà più altrui che propria».
All’inizio sembrava filare tutto senza intoppi. Francesco va a Castel Gandolfo a trovare Benedetto, che gli affida lo scatolone con tutte le carte dell’inchiesta vaticana sugli scandali, quella stagione terribile culminata nel giorno, il 24 maggio 2012 – «coincidenza diabolica» per padre Georg Gaenswein, vero coprotagonista di questo libro – della cacciata di Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior e dell’arresto di Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa. Francesco contraccambia il gesto di fiducia sottoponendo a Benedetto, prima della pubblicazione, il testo della sua prima intervista da Papa, quasi un programma del pontificato, concessa a padre Antonio Spadaro; e ricevendo da Ratzinger quattro pagine fitte di appunti (i due Papi hanno entrambi una grafia minuta, quella di Bergoglio ancora di più).
Ma poi il delicato equilibrio si rompe. Franco ricostruisce le varie tappe del rapporto tra i due Papi. I pasticci editoriali incrociati: la censura alle velate critiche di Ratzinger, chiamato a recensire «libretti» di teologia firmati da Bergoglio insieme con altri prelati tra cui due antichi critici e nemici giurati di Benedetto; l’uscita di un libro impropriamente cofirmato dal cardinale Sarah e da Ratzinger, che difende il celibato sacerdotale proprio alla vigilia del sinodo che doveva aprire ai viri probati (consentendo non ai preti di sposarsi, ma agli sposati di diventare preti).
L’inchiesta è ricca di dettagli, retroscena inediti, episodi gustosi, che possono essere apprezzati anche da chi a differenza dell’autore non è addentro alle cose vaticane; compresi i rapporti con Trump e Biden, il ruolo di Ruini e Bertone, financo i due presunti «complotti di morte», il primo contro Benedetto, il secondo contro Bergoglio. Ma al centro dell’analisi di Massimo Franco c’è un’intuizione. La frattura – innegabile – tra i due papi non è tanto dettata dalle evidenti differenze di stile. Non è soltanto una questione tra conservatori e progressisti. Non si tratta di stabilire da quale corrente di pensiero possa venire il rischio dello scisma, se dai reazionari infastiditi dalle innovazioni di Francesco o se dai vescovi tedeschi insoddisfatti per le sue esitazioni. La vera distanza è sull’idea dell’Europa. Terreno di battaglia, terra da rievangelizzare, teatro dello scontro decisivo con il relativismo, secondo Ratzinger; continente esausto per l’americano Bergoglio, eletto da un conclave apertamente anti-italiano, e che da nove anni si guarda dal valorizzare la Chiesa italiana, al punto che per la prima volta nella storia non sono cardinali gli arcivescovi di Milano, Venezia, Torino, Palermo (e per un anno non è stato cardinale neppure il segretario di Stato). «Il trauma della rinuncia del 2013 non è stato smaltito né superato» conclude l’autore. «La Chiesa a volte appare perfino più divisa di quella del 2013». E il prossimo Conclave può essere «una resa dei conti dagli esiti molto incerti».