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 2022  aprile 19 Martedì calendario

"IL DIVANO DEL PRODUTTORE IO NON CE L'HO MAI AVUTO" - IL CINEMA, LE DONNE, IL CALCIO, VITTORIO CECCHI GORI A TUTTO CAMPO: "LA FIORENTINA MI E' STATA STRAPPATA DI MANO. HANNO PESATO I DIRITTI TV. MI MISERO CONTRO LA RAI, MA IO NON CE L’AVEVO CON LA RAI. IO ERO UN PRODUTTORE DI PROGRAMMI, NON UN DIFFUSORE" - "AURELIO DE LAURENTIIS? È PIÙ BRAVO COME PRESIDENTE CHE COME PRODUTTORE" - "VLAHOVIC NON È BATISTUTA. IL SERBO TI FA VINCERE CONTRO LE SQUADRE MEDIE, CON LE GRANDI DEVO ANCORA VEDERLO…" -

Bellissima intervista del Corriere Fiorentino (a firma Roberto De Ponti) all’ex presidente della Fiorentina (nonché produttore cinematografico) Vittorio Cecchi Gori. Che tra pochi giorni compirà 80 anni.

«La vita mi ha dato, mi ha dato tanto. Certo, qualche amarezza c’è stata, però la vita mi ha dato tanto. E quando riesci a fare le cose che ti piacciono, e le fai così bene che tutti te lo riconoscono, allora pensi che qualcosa di buono hai lasciato».

Parla del suo passato nel calcio, dello scudetto quasi vinto. «Quel quasi mi dà fastidio tuttora. Come sempre succede nel campionato italiano, all’ultimo ci sono un po’ di influenze esterne che in qualche modo intaccano il risultato. Subimmo qualche torto, ci fu qualche speculazione sul fatto che Edmundo fosse tornato in Brasile per il carnevale. Non era vero, nel contratto era previsto che dovesse rientrare per presentarsi a un processo. Ci furono malumori. E Batistuta si fece male. E poi avevamo subito torti arbitrali anche in Europa, la squalifica del campo dopo il Barcellona, quell’assurdo petardo l’anno dopo a Salerno in campo neutro dopo aver vinto 2-0 all’andata».

Lei è sempre stato un terzo incomodo… «Dappertutto. Io mi basavo sui successi in prima linea e non sulle banche, sulle alleanze, così ero facilmente colpibile. Oggi come allora vincono i grossi gruppi, i fondi, stranieri e non più italiani. Il calcio si presta a questo, però perde quella matrice vera che lo tiene in vita, che è il tifo della proprietà».

Parla del rapporto con suo padre Mario, che acquistò il club, che poi si trovò lui a dirigere. «Io sono stato fortunato, perché fra me e mio padre c’erano vent’anni di differenza. Ero nato molto presto, diciamo così. E mi ha sempre portato con sé: a 12-13 anni io ero già un produttore in erba. Ed è stato così anche per il calcio. Così mi sono trovato preparato alla tenzone, e in più con la fiducia di mio padre».

Racconta di quando decise di comprare Batistuta. «Ero a Los Angeles, mentre lavoravo per il cinema lo vidi in tv alla Coppa Libertadores e pensai: questo è perfetto per il calcio europeo. Allora dissi al nostro intermediario: portami Batistuta o non farti più vedere da me».

E Batistuta arrivò con Latorre e Mohamed. «Fu un giro legato a Batistuta. Mi toccò prenderli. Ma giocavano come me...».

Il miglior giocatore acquistato, però, non fu Batistuta, dice, ma Rui Costa. «Batistuta era un leone, un trascinatore. Rui Costa era talento purissimo».

Dopo 9 anni di permanenza in viola, vendette Batistuta alla Roma. Gli chiedono se avrebbe venduto Vlahovic alla Juventus, al posto di Commisso. «Sì. Vlahovic non è Batistuta. Batistuta era decisivo, Vlahovic ti fa vincere contro le squadre medie, con le grandi devo ancora vederlo».

Sul rapporto con le donne: «Guardi, a proposito di difetti della mia vita, se non ci fosse stato il gossip ne avrei solo guadagnato perché facendo cose così in vista il gossip ha preso il sopravvento su tutto. Sembro un facilone, e non è così. Le donne mi sono sempre piaciute, ma in maniera giusta, a prescindere delle campagne che si fanno oggi. Amare una donna significa rispettarla. E io avevo sempre bisogno di avere vicino una compagna, più che fare il Casanova. E le posso assicurare che io il divano del produttore non ce l’ho mai avuto».

Ha prodotto tanti film di successo. Gli chiedono cos’abbiano in comune il cinema e il calcio. «Poco o nulla, a parte il materiale umano. E il regista, che nel calcio è l’allenatore».

Aurelio De Laurentiis ha seguito il suo percorso: dal cinema è arrivato al calcio. «Ad Aurelio piaceva fare quello che facevo io. Quando io presi la Fiorentina si incaponì di prendere una squadra di calcio. Purtroppo lui prese il Napoli quando io persi la Fiorentina, così non ci siamo mai incrociati. Ma devo dire la verità: Aurelio è più bravo come presidente che come produttore. È un ottimo organizzatore, ha la stoffa».

Ritiene che la Fiorentina gli sia stata strappata di mano. Dice che hanno pesato i diritti tv. «Hanno pesato i diritti tv. Io avevo un’enorme casa cinematografica, che poteva condizionare l’esistenza di una televisione. E quando si parla di comunicazione allora si toccano i vertici dello Stato. E il calcio aveva il problema dei diritti tv, cosa non risolta perché ancora oggi accadono le stesse cose che accadevano 30 anni fa. Ed è grave, perché io ci ho rimesso le penne per questo.

Mi misero contro la Rai, ma io non ce l’avevo con la Rai. Io ero un produttore di programmi, non un diffusore. La pay-tv era un concetto che mi piaceva, ma non decollava mai, tant’è vero che a un certo punto cullai l’idea di creare una piattaforma, europea ma con buoni rapporti con l’America. In realtà sulla carta era una partita vinta, però ho smosso troppi interessi».

Crollò tutto. «Non lo so neanche che cosa è successo. Non era una questione di soldi, era una questione di potere. E chi non mi voleva bene mi ha massacrato. Se ci penso oggi, a distanza di tanti anni, penso: è vero, quando cadi nella polvere la riconoscenza scompare. Però è vero che con il tempo ho ritrovato persone che mi vogliono bene. In fondo nella mia vita ho fatto tante cose sbagliate ma anche qualcuna giusta».