Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 19 Martedì calendario

LE SANZIONI TAGLIANO FUORI L'OCCIDENTE DAL MERCATO DELLE MATERIE PRIME - L'ORO È ARRIVATO AL LIVELLO RECORD DI 1.993,28 DOLLARI ALL'ONCIA, IL PIÙ ALTO DALL'11 MARZO, TRASCINATO DALLO STALLO DEI NEGOZIATI E DALL'INFLAZIONE CHE SPINGE I BENI RIFUGIO. L'ARGENTO È SALITO DELLO 0,9%, IL PLATINO DELL'1,5% E IL PALLADIO DELL'1,1% - LA GUERRA HA ACCELERATO UN PROCESSO GIÀ IN ATTO: IL DOLLARO PERDE CENTRALITÀ NEGLI SCAMBI CHE ORA AVVENGONO DIRETTAMENTE IN RUBLI, RUPIE E RENMINBI. E LA FRANCIA RIPORTA IN PATRIA LE RISERVE AUREE… -

«Vado matto per i piani ben riusciti», diceva il colonnello John Annibal Smith, a capo dell'A-Team; celebre serie tv degli anni Ottanta. Peccato che questi esistano solo al cinema e che sia il piano del Cremlino di una guerra lampo sia quello europeo di puntare sulle sanzioni economiche si siano rivelati fallimentari. Inoltre hanno fatto detonare un'altra guerra, in corso già da tempo a livello mondiale, per il controllo delle materie prime, che non a caso sono quasi tutte ai massimi: l'oro è arrivato al livello record di 1.993,28 dollari all'oncia, il più alto dall'11 marzo, trascinato dallo stallo dei negoziati e dall'inflazione che spinge i beni rifugio. Tra gli altri metalli, l'argento è salito dello 0,9% a 25,91 dollari l'oncia, il platino dell'1,5% a 1.004,36 dollari e il palladio dell'1,1% a 2.394,68 dollari.



Dopo il primo pacchetto di sanzioni contro Mosca, il ministro francese delle Finanze Bruno Le Maire aveva parlato di una «bomba nucleare finanziaria» riferendosi soprattutto al congelamento delle riserve in valuta estera depositate dal Cremlino nelle Banche centrali occidentali, tutte frutto dei consistenti surplus commerciali accumulati dalla Russia.

Una misura, questa, che qualche settimana più tardi abbiamo scoperto essere stata farina del sacco di Mario Draghi, il quale parrebbe mostrarsi particolarmente severo avendo in animo di candidarsi a segretario generale della Nato.

Peccato però che far esplodere una bomba nucleare a pochi chilometri di distanza distrugga anche tutto ciò che sta intorno a chi la sgancia. Nel mondo della finanza, infatti, la misura ha innescato una serie di reazioni a catena tali da rischiare di alterare l'ordine esistente. La prima conseguenza è stato l'inizio di un processo di riduzione del peso del dollaro nell'economia mondiale.

Prima del 1971, e a seguito degli accordi di Bretton Woods, la valuta americana era in pratica un assegno. Anche dopo che Richard Nixon oltre 50 anni fa ne stabilì l'inconvertibilità con l'oro, la supremazia del dollaro è proseguita, consentendo agli Usa di essere l'unico Paese che, almeno finanziariamente, poteva permettersi tutti i deficit commerciali che voleva. Potevano sostanzialmente comprarsi qualsiasi cosa stampando una moneta universalmente accettata per gli acquisti. Tutti gli altri Paesi no. L'India, ad esempio, per acquistare il petrolio della Russia doveva procurarsi dollari: o esportando beni, o indebitandosi in dollari. Che ora però tutti sono più restii ad accettare, dal momento che avere riserve in dollari significa averle depositate presso la Fed. E questa potrebbe riservare il trattamento oggi inflitto alla Russia a chiunque altro Paese esportatore.

Questo processo, anticipato sulle colonne di questo giornale, è stato nella sostanza confermato pure dal Fondo monetario internazionale che ha declinato il fenomeno in un più asettico «frammentazione del mercato dei cambi». Accordi fra Russia, Cina e India per regolare i rispettivi scambi commerciali in rubli, rupie e renmimbi (tre r) stanno ormai diventando realtà. Tanto è vero che la Russia si è messa a vendere con uno sconto del 30% rispetto agli alti prezzi di mercato il proprio petrolio che adesso l'India non importa più in misura pari a 50.000 barili al giorno, bensì a 300.000. Il segreto sta nel fatto che ora Nuova Delhi non deve necessariamente indebitarsi o guadagnare dollari per fare questi acquisti. Gli bastano le rupie che stampa.

Ma neppure la Francia sembra essere tranquillizzata dall'aria che tira dal momento che - zitta zitta - ha praticamente rimpatriato tutto il suo oro in Francia. E non è che fosse molto quello detenuto all'estero: appena il 9%. Ma sempre meglio aver paura che toccarne devono aver pensato a Parigi. La bomba nucleare finanziaria fatta scoppiare contro la Russia potrebbe brillare di nuovo nei confronti di chiunque. Ma vi è un altro effetto potenzialmente devastante tale da condizionare l'esito della globalizzazione in corso ormai da decenni.

E riguarda soprattutto il grano, materia prima essenziale molto più dell'iPhone, di Facebook e di Netflix in tempi di guerra. Russia e Ucraina sono il granaio del mondo. L'Egitto produce 9 milioni di tonnellate di frumento ma ne consuma 22. E quasi la metà del suo import deriva da Russia e Ucraina. Essendo prevedibile che la semina di frumento in questi mesi abbia subito battute di arresto, Il Cairo si è premurata di raggiungere un accordo di fornitura di nuovo con la solita India.

E tutta l'Africa dipende da Mosca e Kiev per i beni alimentari. Il baricentro del mondo si sta spostando a Est? Ed è sempre a Est, che a motivo (o con la scusa) del virus si stanno interrompendo le forniture di metalli come, ad esempio, il rame o altre materie rare. Shanghai è infatti interessata da un lockdown tanto duro quanto poco spiegabile con ragioni esclusivamente sanitarie. Un modo come un altro, anche a detta di Bloomberg, di trattenere forse cose molto più preziose dei dollari in tempi di guerra.

Il tutto mentre il nostro governo sta disperatamente tentando di sostituire il gas russo che ci arriva attraverso il tubo nel suo stato naturale con il molto più costoso e inquinante gas liquefatto, che deve essere trasportato con grandi navi metaniere - le quali emettono molta CO2 - in rigassificatori che non abbiamo a sufficienza. E che neanche sono in produzione, dal momento che stiamo dicendo da anni che anche il gas ci sembrava troppo inquinante e quindi preferiamo le rinnovabili. Chi mai si è messo infatti a programmare investimenti in rigassificatori se noi per primi abbiamo detto che li stavamo mettendo fuori legge?