Avvenire, 19 aprile 2022
Le mani degli arabi sul calcio mondiale
Le mani sul Milan sono in un messaggio augurale di una persona che, di fatto, la Pasqua nemmeno la festeggia, essendo musulmano. Eppure a Mohammed Al Ardhi, presidente operativo del fondo Investcorp, sono bastati un tweet di congratulazioni al Milan «tornato in testa alla classifica» e un «happy Easter to the club and its fans» per confermare le speculazioni su un passaggio di proprietà, quello appunto del club rossonero, che a maggio dovrebbe diventare la prima società calcistica italiana finanziata da capitali arabi. L’ennesimo riscontro è arrivato ieri dall’ambasciata del Bahrain nel Regno Unito con un post sui social: «L’asset manager Investcorp basata in Bahrain ha avviato trattative esclusive per l’acquisto del club italiano AC Milan per 1,1 miliardi di dollari». Le cifre sono elevatissime, ma per il fondo del Bahrein non appaiono un problema, del resto negli ultimi anni i costi per l’acquisizione di diverse società europee da parte di fondi e realtà imprenditoriali legate ai Paesi del Golfo non sono mai stati un limite per alcuna trattativa. Paris Saint-Germain, Manchester City e Newcastle United sono i paradigmi più eclatanti di un fenomeno non episodico, anzi ormai consolidato negli assetti proprietari di numerosi club continentali ma che, sinora, mai aveva toccato l’Italia.
Dopo Cina e Stati Uniti (la mai del tutto chiarita gestione Li Yonghong e il fondo Elliott), i capitali del Milan arriveranno dal Bahrein, e qui vanno precisati un paio di punti. Il primo riguarda Investcorp, che non è il Public Investment Fund (Pif) saudita che ha rilevato lo scorso autunno l’80% del Newcastle United né Qatar Sports Investments (la propaggine di Qatar Investment Authority che governa il Psg): non è insomma un fondo sovrano, sebbene nella sua compagine azionaria compaia il fondo sovrano emiratino Mubadala. Invece il fondo sovrano bahreinita, Mumtalakat Holding Company, al momento è nel calcio con il 20% del Paris Fc - oggi quarto nella Ligue 2 francese - ed è attualmente attivo soprattutto nel motorsport, dove è azionista di maggioranza della McLaren, ma non è esclusa l’intenzione di foraggiare maggiormente nel calcio europeo, magari con la creazione di una nuova realtà di investimento finanziata in comune dai fondi sovrani di Bahrein ed Emirati Arabi, stando a una notizia trapelata a novembre. Il secondo punto da considerare è che il Milan non diventerebbe la prima società continentale di proprietà bahreinita, dal momento che un anno fa il Wigan, quando era in amministrazione straordinaria, fu rilevato da Phoenix 2021, società veicolo appositamente fondata da Talal Al Hammad, e oggi è a un passo dal ritorno in Championship.
L’Inghilterra, per ovvi motivi, è un avamposto delle mire arabe sui club in area Uefa. Del Manchester City emiratino - la cui proprietà è di City Football Group, società la cui maggioranza è di Abu Dhabi Group, collegato con il fondo sovrano del Paese - si sa tutto, così come il nome dello sceicco Mansour è entrato ormai nell’immaginario collettivo, ma magari a chi non segue particolarmente il calcio è meno noto come City Football Group controlli in realtà una decina di club nel mondo. Solo in Europa sono di Cfg il Lommel in Belgio, l’Estac di Troyes in Francia, il Girona in Spagna, ma anche New York City (nella Mls statunitense), Melbourne City (A-league australiana), Mumbai City (India), Montevideo City Torque (Uruguay) e persino Yokohama Marinos (Giappone) e Sichuan Juniu (Cina) sono supportati dal denaro di Abu Dhabi e dalla struttura calcistica a lungo curata da Ferran Soriano. Una ricchezza senza limiti per quello che è allo stato dell’arte il maggior gruppo multiproprietario calcistico mondiale, peraltro e abbastanza intuitivamente il più vincente.
I concetti di sportwashing e soft power, per quanto troppo spesso banalizzati e utilizzati con facile indignazione, hanno un ruolo determinante nelle scelte dei fondi sovrani, ma il neoliberismo applicato al calcio, e allo sport più in generale, ha portato esattamente questo e periodicamente vede modificare gli equilibri proprietari con il modificarsi di alcuni cruciali aspetti geopolitici che fanno
dello sport un mezzo, non certo un fine. Politica, immagine e business si intrecciano laddove la passione cieca del pubblico porta a narcotizzare cause e pretesti: è ciò che per due decenni hanno fatto gli oligarchi russi (chi ricorda quando il sogno di ogni tifoso era quello di veder spuntare un Abramovic per il proprio club?), oggi soppiantati dai fondi del Golfo dietro i quali spesso ci sono interi Stati e, quando non è così, sono comunque significative le connessioni con le famiglie regnanti dei Paesi autocratici dell’area. Ora ciò che prima erano i russi sono diventati gli arabi del Golfo, e lo hanno fatto alla potenza, rilevando club e in certi casi rivelandosi determinanti per le casse di altri anche solo attraverso munifiche partnership, si pensi al denaro che il Qatar versò per sponsorizzare il Barcellona o al lungo rapporto tra la compagnia aerea statale Fly Emirates e la proprietà americana dell’Arsenal.
Se il Paris Saint-Germain è evidentemente considerabile un club-Stato, in Francia oltre al già citato Estac è arabo anche lo Châteauroux, la cui proprietà è saudita. Anche qui si tratta di una multiproprietà, quella di United World Group il cui numero uno è Abdullah bin Musaid Al Saud. Tecnicamente non ha nulla a che vedere con Pif, ma il foraggiatore del club è comunque un membro della famiglia reale saudita e la sua punta di diamante calcistica, sempre sotto l’egida di United World Group, è anch’essa in Inghilterra, lo Sheffield United, in un agglomerato nel quale compare pure il Beerschot in Belgio. Non meno interessante è la proprietà dei belgi del Kas Eupen e degli spagnoli del Cultural Leonesa, controllati da Aspire Academy, ente strategico per lo sviluppo del calcio in Qatar, creato nel 2004 dal governo e che, da allora, ha consentito al movimento di lanciarsi verso il Mondiale del prossimo autunno attraverso una crescita strutturale. Si torna all’Arabia Saudita in Spagna, con l’Almeira di proprietà di Turki Al-Sheikh, sodale del principe Mohammad Bin Salman e presidente della General Authority for Entertainment. Un uomo di governo, insomma, in una contaminazione di sport e politica che, nei Paesi del Golfo, ha tratti incestuosi.