Avvenire, 19 aprile 2022
In Russia anche le delazioni, come ai tempi dell’Urss
Non basta più approvare l’operato del presidente. In Russia ora si fa a gara a chi si mostra più entusiasta e a chi denuncia con maggiore zelo chi non approva la politica del Cremlino nei confronti di quella che in patria chiamano «l’operazione militare speciale». Come ai tempi dell’Urss. A un mese dall’entrata in vigore della legge che punisce chi non si allinea con la versione ufficiale, anche linguistica, del conflitto, la sopraffazione dei pacifisti va avanti sotto diverse forme: la persecuzione legale, la costrizione al consenso e, nel caso questa non dovesse funzionare, la denuncia.
L’ultima iniziativa in ordine di tempo arriva da una scuola di Tyumen, importante città a est degli Urali, dove nelle classi, in una coppia di banchi in prima fila, sono state apposte le facce di alcuni caduti nell’“operazione militare speciale” in Ucraina. La scritta sotto le foto recita «la squadra degli eroi«. Possono sedersi lì solo gli studenti meritevoli. L’amministrazione della cittadina ha candidamente ammesso che l’iniziativa è per «stimolare la motivazione personale di tutti». Sedersi alla scrivania dell’eroe, equivale al desiderio di diventare migliori. Che tradotto in termini concreti significa: chi non aderisce all’iniziativa è un nemico della patria. Ne sanno qualcosa le persone che in questi giorni sono state denunciate perché si sono permesse di criticare la guerra in Ucraina. «Il problema di oggi in Russia – spiega ad AvvenireMikhail, studente universitario che ha preso parte alle proteste contro il conflitto – è che se tu adesso in un bar, parlando con un amico, ti dichiari contro la guerra, puoi stare certo che qualcuno ti insulta pubblicamente e ti dà del traditore. Anche per questo molte persone in questo momento preferiscono stare zitte». Non ci si può più fidare di nessuno. Ne sanno qualcosa le decine di insegnanti che cercano di diffondere messaggi di pace e vengono puntualmente redarguiti dagli studenti, se non addirittura denunciati dai genitori. Schierarsi contro questa guerra, anche senza aggiungere niente altro, equivale a essere contro la Russia.
Un “reato” per il quale si paga in denaro, con multe che possono arrivare fino a 400 dollari, cifra considerevole in Russia, ma anche con la perdita del posto di lavoro. Il dubbio è che l’attività di delazione diventi sempre più violenta e strutturata. Per il momento, si tratta di episodi. A Mosca, il proprietario di un negozio che ripara computer è stato arrestato per avere affisso il cartello «no alla guerra». A San Pietroburgo, l’errore di un bibliotecario, che ha scambiato l’immagine di un intellettuale sovietico per Mark Twain, è balzato agli onori delle cronache, con tutto il vilipendio del caso. Un clima incendiario, sul quale il presidente russo, Vladimir Putin, è deciso a lavorare il più possibile per compattare un consenso che non lasci dubbi.
Nei giorni scorsi, il capo del Cremlino ha firmato una legge che punisce con una multa l’equiparazione dell’Urss alla Germania nazista. Un particolare di non poco conto, che sembra la risposta a chi negli ultimi anni aveva alzato la voce perché preoccupato per la riabilitazione della figura di Stalin negli ultimi 10 anni di potere del presidente. Segnali preoccupanti in un Paese dove il dissenso, già scarso, è stato ridotto a zero e dove chi, per necessità o convinzione, sembra sempre più deciso ad allinearsi.