ItaliaOggi, 16 aprile 2022
Orsi & tori
Condannata per la guerra da 141 paesi su 193 all’Onu. Ma difesa di fatto da ben 83 paesi, fra contrari e astenuti, rispetto a solo 93 paesi che hanno decretato la sua espulsione dal Consiglio per i diritti dell’uomo. Come è possibile che la Russia abbia tanti alleati o paesi neutrali da Buenos Aires a Delhi, da Dubai a Città del Messico, all’Arabia Saudita, al Sudafrica…?
Mentre si pensa che dietro la sua astensione il maggior alleato di fatto della Russia sia la Cina, in realtà vari paesi che pure sono democrazia dialogante con l’America, come l’India, messa alle strette dal presidente Joe Biden, ha finito per chiedere solo «un’indagine indipendente» sugli orrori di Bucha. Narendra Modi, primo ministro dell’India, è di fatto l’astensionista più scomodo per gli Usa proprio perché da alcuni anni l’America investe e coltiva il paese per farne un’alternativa alla Cina in Asia. Ma invece l’India riceve in piena guerra Sergej Lavrov, il ministro degli esteri di Vladimir Putin.
Cosa spinge la più grande democrazia del mondo per abitanti dopo gli Usa a irritare chi si riteneva suo alleato, come Biden? È questa una domanda chiave per capire come sarà il mondo quando, e se, finirà la guerra della Russia contro l’Ucraina. Una prima risposta è facile: anche l’India non gradisce che gli Stati Uniti abbiano un ruolo chiave in Asia. Eppure, come spiegava nei mesi scorsi l’ambasciatore italiano a Delhi, Vincenzo De Luca, l’America aveva lanciato un’ampia strategia di aiuti economici e investimenti per ridurre la povertà molto ampia nel grande paese. Alla prova dei fatti, l’India preferisce essere neutrale, rischiando che gli Usa interrompano la strategia di aiuto. Insomma, anche chi è aiutato da Washington ha un forte sentimento di voler rimanere indipendente.
La Turchia, pur essendo parte della Nato, ha assunto un ruolo di equidistanza indossando le vesti di promotore della pace. Per forza, si potrà dire, il 45% del gas viene dalla Russia. E se mai la Turchia otterrà un risultato positivo per la fine della guerra, sarà difficile dire di no a Recep Erdogan per la sua richiesta di entrare nell’Unione europea. Ma si può ignorare nei circoli democratici americani o ai vertici della Ue che Erdogan sia pressoché un dittatore, che ha condotto azioni violente contro le opposizioni? I componenti della Ue ma soprattutto gli Usa chiuderanno gli occhi davanti alla realtà. È solo un esempio delle contraddizioni di chi è paladino della democrazia contro la tirannia.
Ma una posizione distante dagli Stati Uniti la si riscontra non solo nei paesi arabi e in Sud America (dal Brasile al Messico, all’Argentina del presidente Alberto Fernandez), ma anche in Sud Africa e in Africa dove la presenza della Cina è fortissima, facendo capire che la guerra in Ucraina è una sorta di cartina di tornasole che rivela quali sono le reali posizioni verso il leader storico, anche se appannato, della democrazia sia politica che di mercato. Del resto, non era mai successo prima che le parole del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di duro attacco personale a Vladimir Putin, venissero subito corrette dal suo stesso segretario di Stato e che poi, ignorando la già brutta figura fatta dall’amministrazione di quello che è ancora considerato il principale paese del mondo, il presidente rilanciasse ancora finendo per smentire il suo ministro degli esteri.
Biden era forse irritato che nell’Assemblea plenaria dell’Onu per la condanna della Russia i paesi che hanno votato contro rappresentano il 20% del pil mondiale? Non credo che la ragione sia questa. Penso piuttosto che il presidente degli Stati Uniti tema di diventare il capo del paese più potente del mondo che sta perdendo la sua leadership. E forse a preoccuparlo è che, pur avendo mantenuto il punto sulla condanna di Putin (e come avrebbe potuto non essere così), il probabilmente rieletto presidente francese Emmanuel Macron sia convinto che nell’evoluzione del mondo l’Europa arrivi fino a Vladivostok e che la Nato, parole sue, abbia l’encefalogramma piatto.
Per tutto questo il ministro degli Esteri russo, Lavrov, si è permesso di dire: «Molti paesi non accetterebbero più che il mondo sia un villaggio globale sotto il potere dello sceriffo americano».
Su tutto domina la figura, certamente ingombrante, della Cina, diventata stretto partner della Russia nel momento stesso in cui, nel 2014, l’allora presidente Barack Obama pose le prime sanzioni alla Russia. Sotto la spinta dell’Europa, nel vertice Europa-Cina, il presidente Xi Jinping si è spinto a dire qualche parola in più della semplice astensione, ma è stato un fuoco di paglia perché la Cina ha sempre davanti agli occhi il problema di riannettersi Taiwan. E i prossimi tre mesi sono decisivi per capire che cosa vorrà fare la Cina. In autunno, infatti, ci sarà il congresso quinquennale del Partito comunista che molto probabilmente sancirà il terzo mandato di Xi Jinping. Ciò è reso possibile dal cambiamento della Costituzione che, costruita ai tempi di Deng Xiaoping sul modello delle democrazie occidentali, prevedeva al massimo due mandati. Facendo recepire alla costituzione cinese il suo pensiero, il presidente Xi ha eliminato il vincolo e per questo è rieleggibile.
Pensare che la Cina possa essere fuorigioco sullo scacchiere internazionale sarebbe un grave errore. È vero che il Covid curato con il totale isolamento di intere città, come ora nel caso di Shanghai, e non con i vaccini più avanzati internazionali, è diventato un elemento di forte svantaggio rispetto ai paesi che con il vaccino hanno riaperto quasi tutte le attività. È vero che l’inevitabile stretta del presidente Xi verso i capitalisti cinesi per evitare che diventino sempre più predatori, ha rallentato lo sviluppo di aziende come Alibaba e Tencent soprattutto sui mercati finanziari, dove complessivamente i due giganti più altre otto società ad alta tecnologia hanno perso oltre 1,7 trilioni di capitalizzazione. E Jack Ma, fondatore e capo di Alibaba, e Pony Ma, fondatore di Tencent, sono obbligati a manifestare obbedienza, senza poter sviluppare ulteriormente il loro raggio di azione. Come dire che il presidente Xi ha posto un freno allo schema creato da Deng Xiaoping, che fondò la nuova Cina come stato socialista ma operativa con strumenti capitalistici.
In previsione del suo terzo mandato, il presidente Xi ha voluto dimostrare al popolo che non è stata dimenticata la politica per «una prosperità comune» e indubbiamente i due Ma erano sulla strada dei fondatori di Google, di Facebook di Amazon, cioè di aziende con potere tale da poter competere con gli stessi presidenti degli Stati Uniti al punto (Facebook) da poterli anche censurare, violando ogni regola di democrazia visto che comunque, folle o meno, il presidente Donald Trump era stato democraticamente eletto.
Per tutti questi motivi, non pochi commentatori, specialmente inglesi, prefigurano una decadenza della Cina, ma poi si affrettano a dire che sarebbe un grave errore sottovalutare il secondo paese del mondo, avviato a diventare il primo per potenza economica, godendo già del primato nel numero degli abitanti. Per fortuna tutti questi commentatori si ricordano che la governance centralizzata oltre alla possibilità di fare programmi non a quattro o otto anni come gli Usa ma a 15, 20 o 30, sta loro permettendo di costruire una marina militare come o più di quella americana e di diventare il numero uno delle batterie, che concentrano l’energia per ogni sviluppo futuro, non solo l’automobile. C’è poi, e a Londra lo ricordo, la vastità del mercato interno che permette alle aziende produttrici di beni e di servizi di fare economie di scala anche senza smettere di esportare. Proprio per questo, le aziende globali straniere non potranno mai permettersi di restare fuori dalla Cina. Il che rafforza i rapporti commerciali, che sono la vera forza superiore della Cina.
Tutto ciò fa nascere una domanda: che cosa può fare l’occidente e più in particolare l’Europa per non rimanere schiacciato fra la Cina e gli Usa? Su questo tema, appunto, il pensiero più lucido lo ha avuto fino alle elezioni il presidente Emmanuel Macron. Infatti, la sua idea è di estendere il concetto di Europa fino a Vladivostok, cioè alla città portuale russa nel pacifico. Quindi un’Europa che comprendeva nel suo disegno la Russia, visto, giova ripeterlo, il suo convincimento che la Nato abbia l’encefalogramma piatto.
Come si vede non è solo la guerra della Russia all’Ucraina; non è solo la cartina di tornasole delle posizioni di molti paesi che fanno parte dell’Onu e che hanno chiaramente manifestato, anche con la semplice astensione, la loro avversità agli Stati Uniti; non sono solo questi due fatti che provocheranno un profondo rimescolamento delle posizioni e delle alleanze. Finora, al G20 presieduto dall’Italia, il presidente Mario Draghi se l’era brillantemente cavata rispetto alle posizioni verso Russia e Cina con la teoria della cooperazione nella competitività. La guerra della Russia all’Ucraina sta facendo da detonatore per una assai più profonda rivoluzione sullo scacchiere internazionale.
Dai segnali finora emersi si può principalmente ipotizzare una netta separazione fra Asia e continente Nord Americano, con in mezzo l’Europa dove, se la si legge in termini di Ue, non mancano i simpatizzanti per la Russia, nonostante le atrocità della guerra. La Conferenza di Yalta, alla fine della Seconda guerra mondiale permise una spartizione del mondo fatto da tre uomini: Winston Churchill, Iosif Stalin, e Harry S. Truman, presidente degli Stati Uniti dal 1945 al 1953. Fu proprio lui, che di ritorno dalla Prima guerra mondiale combattuta in Francia, aprì una merceria a Kansas City. È il presidente che autorizzò il primo e unico uso di armi nucleari in guerra per sconfiggere il Giappone. Fu l’esplosione della guerra fredda e dell’interventismo assoluto degli Usa in tutto il mondo come guardiano della democrazia.
Gli Usa possono essere ancora oggi, dopo l’emancipazione e la crescita di molti paesi e in particolare della Cina, dispensatori di protezione per i paesi democratici? O sono destinati a essere secondi? E accetteranno di essere secondi? O meglio: riusciranno a risolvere con la diplomazia il problema più grave e minaccioso che domina il palcoscenico asiatico, a parte la Corea del Nord? Mi riferisco a Taiwan. Per la Cina e Xi è indispensabile ideologicamente e tecnologicamente recuperare l’isola dove gli americani aiutarono Chang Kai-shek a rifugiarsi e dove ora si produce il 40% dei semiconduttori, la cui domanda salirà sempre di più alle stelle man mano che crescerà la tecnologia digitale e in particolare l’AI.
Ma c’è un uomo con l’autorità morale e la capacità diplomatica da poter riuscire nell’impresa di evitare una nuova guerra o comunque uno scontro? Sono disponibili gli Usa a rinunciare a un ruolo primario in Asia e comunque a non molti chilometri dalla Cina di terraferma?Chi sapesse o potesse rispondere a queste domande saprebbe anche che mondo ci sarà da subito, dopo la fine della guerra in Ucraina.
P.S. Molto più modestamente, chi vincerà le due guerre finanziarie che stanno per esplodere in Italia, anzi che sono già in corso? Vincerà per Atlantia il bravissimo Alessandro Benetton con l’alleato Blackstone oppure il presidente del Real Madrid Florentino Perez con i suoi alleati? Benetton, che è diventato un bravissimo private equity prima di salire legittimamente al vertice di Edizione, holding più alta dei Benetton. Conosce le regole del capitalismo di oggi e ha un alleato molto forte. E per Generali? Vincerà la finanza istituzionale o due padroni molto danarosi come Francesco Gaetano Caltagirone, cresciuto come re dei palazzinari, e come l’inarrendevole ex martinitt Leonardo Del Vecchio? Non è escluso che anche in questo secondo confronto il dado possa trarlo Benetton, con il 4% di Edizione.