ItaliaOggi, 19 aprile 2022
I talk show e Flaiano
«Volere è potere: la divisa di questo secolo. Troppa gente che “vuole”, piena soltanto di volontà (non la “buona volontà” kantiana, ma la volontà di ambizione); troppi incapaci che debbono affermarsi e ci riescono, senz’altre attitudini che una dura e opaca volontà. E dove la dirigono? Nei campi dell’arte, molto spesso, che sono oggi i più vasti e ambigui, un West dove ognuno si fa la sua legge e la impone agli sceriffi. Qui, la loro sfrenata volontà può esser scambiata per talento, per ingegno, comunque per intelligenza. Così, questi disperati senza qualità di cuore e di mente, vivono nell’ebbrezza di arrivare, di esibirsi, imparano qualcosa di facile, rifanno magari il verso di qualche loro maestro elettivo, che li disprezza. Amministrano poi con avarizia le loro povere forze, seguono le mode, tenendosi al corrente, sempre spaventati di sbagliare, pronti alle fatiche dell’adulazione, impassibili davanti ad ogni rifiuto, feroci nella vittoria, supplichevoli nella sconfitta. Finché la Fama si decide ad andare a letto con loro per stanchezza, una sola volta: tanto per levarseli dai piedi».
Questo ritratto della società letteraria dell’epoca, sconsolato e implacabile, è di Ennio Flaiano (“Diario notturno”, 1956). Sessantacinque anni dopo, «disperati senza qualità di cuore e di mente [che] vivono nell’ebbrezza di arrivare, di esibirsi», si sono nuovamente affacciati sul proscenio nazionale. Solo che, prima durante la pandemia e ora durante la guerra in Ucraina, sono diventati vere e proprie star dei talk show televisivi attraverso la sistematica confusione tra verità e menzogna, che fa diventare un lavoro di Sisifo anche lo sforzo di tener ferma la conoscenza più elementare.
Beninteso, non siamo in un regime dispotico, ma – parafrasando la profezia agghiacciante che Theodor Adorno fece all’indomani della sconfitta del Terzo Reich – in Italia le bugie hanno ormai le gambe lunghe: si può quasi dire che precorrano i tempi.