La Stampa, 19 aprile 2022
L’acchiappa satelliti per ripulire i cieli
Nel 1913 un contadino finlandese trovò i resti di quello che gli archeologi confermarono essere un retino da pesca e che la datazione al radiocarbonio fece risalire all’8.300 avanti Cristo. Nel secondo millennio dopo Cristo, un’azienda genovese ha adattato l’antichissima tecnica a un nuovo impiego. L’azienda è Stam e, per l’Agenzia spaziale europea Esa, ha sviluppato con due partner polacchi, OptiNav e SkaPolska, il primo prototipo di “acchiappasatelliti a rete”.
Secondo l’Esa sono più di 170 milioni gli oggetti che orbitano attorno alla terra. Alcuni piccolissimi e inoffensivi, altri no. Più di 6 mila satelliti sono stati lanciati dal 1957 ad oggi, meno di mille sono attivi. Gli altri sono relitti vaganti. Possono scontrarsi, frantumarsi o esplodere. Umberto Battista, ingegnere di Stam, spiega che «l’Esa voleva la nostra rete per catturare il satellite più grosso, un satellite europeo grande come un autobus. Avevamo fatto dei test in Canada, su un piccolo jet Falcon 20 che, formando degli archi parabolici in volo, creava brevi assenze di gravità. Durante le assenze, dentro l’aereo, sperimentavamo il lancio della rete. Funzionava. Poi l’Esa ha rinunciato al progetto. Lo abbiamo riadattato alla cattura di droni ostili».
Stam è una “garage company” in stile Silicon Valley, ma è nata e rimasta a Genova dove dà lavoro a 50 ingegneri e fattura circa 4 milioni di euro l’anno. Si occupa di automazione, robotica, sicurezza, energia, trasporti e aerospazio. Il suo primo progetto, a anni Novanta, era un penetrometro per saggiare la resistenza del terreno su Mercurio. Anche questo, poi, l’Esa lo ha accantonato. «Con lo spazio è così. I committenti sono sempre l’Esa o l’Asi, Agenzia spaziale italiana. Servono grandi investimenti e molta determinazione». Oggi Stam è partner con Thales Alenia Space, joint venture tra la multinazionale francese Thales e l’italiana Leonardo, di un altro progetto Esa. «Nella Stazione spaziale si producono molti rifiuti. L’idea è usare i robot per smistarli, selezionarli e riciclarli. Le vaschette del cibo diventano filamento plastico per le stampanti 3D».
Phase Motion Control, azienda genovese da 150 dipendenti che progetta e produce motori elettrici per l’automazione, le auto e i grandi telescopi, non disdegna le missioni nello spazio. Ha realizzato per l’Esa i motori del Dexarm, un braccio robotico con molti snodi, quasi un serpente, per le operazioni extra-veicolari. Phase ha sede nei vecchi hangar di Piaggio Aerospace, che nel frattempo si è spostata a Villanova d’Albenga e che, a dispetto del nome, non svolge attività spaziale, solo aeronautica. Più orientata allo spazio la multinazionale della difesa Leonardo che, a Genova, ha in funzione il supercomputer davinci-1, una macchina da 5 milioni di miliardi di operazioni al secondo attorno a cui ha creato laboratori che, fra l’altro, usano immagini satellitari per monitorare le infrastrutture, con un occhio di riguardo ai viadotti delle autostrade.