la Repubblica, 19 aprile 2022
Intervista a Claudio Cecchetto
Claudio Cecchetto, il fondatore di Radio Deejay, oggi compie 70 anni. E si candida a fare il sindaco di Riccione.
Che compleanno è?
«La testa è quella di sempre. Anzi, con gli anni sono diventato più abile nel selezionare le cose buone».
E fisicamente?
«Mi sono iscritto in palestra, seguito da un istruttore. Ma delle dieci lezioni ne ho fatte nove. E invece di un’ora duravano quaranta minuti».
Perchè?
«Eh! All’inizio temporeggiavo, alla fine chiedevo un po’ di clemenza».
E che vita è stata finora?
«Fortunata. Ho trasformato la passione per la musica in un lavoro. Vede, il talento è un dono, ma poi il successo è un mestiere».
Qual è la formula?
«Di non sederti mai un giorno.
Coltivarsi. Penso che tutti abbiano dentro di sé un grande talento».
Tutti?
«Il punto che non sempre riesci a riconoscerlo. Anche quello è un dono: capire quello che davvero vuoi fare di te. Se lo realizzi dopo avrai una vita migliore».
Ricorda i suoi inizi?
«Nel 1978 stavo facendo una trasmissione a Radio 105, quando mi dissero: “Guarda che qui c’è Mike Bongiorno che chiede di te”. Ero così in bambola che non capii quasi nulla di quello che mi diceva».
Che voleva?
«Ricordo soltanto che si complimentò, “ti ascolto ogni mattina, sei bravissimo”. Ma io non trasmettevo la mattina. Non glielo dissi. Mi prese a Tele Milano».
La tv di Berlusconi?
«Sì, conducevo Chewing gum.
Facevo tutto io, per sole centomila lire a puntata. Chiesi un appuntamento con il Cavaliere, il quale ancor prima che aprissi bocca mi annunciò: “Ho deciso di raddoppiarti lo stipendio”. Ero entrato deciso a chiedere il triplo, ma lui fu così avvolgente che mi accontentai».
Berlusconi è un modello per lei in questa avventura?
«Come imprenditore è stato il top del top».
E come politico?
«Ma io non ho modelli: mi piace scrivere da me i copioni. Faccio una lista civica».
Per chi votava in passato?
«Per tutti».
Cosa intende per tutti?
«Ho anche votato Radicale. Poi in passato qualcuno magari mi ha deluso. La politica ha dovuto chiamare un esterno come Draghi per cambiare le cose».
È un suo estimatore?
«Ho detto solo che hanno avuto bisogno di un civico».
Perché non vuole esporsi?
«Per me parla il lavoro fatto, i talenti che ho scoperto».
Con Fiorello come andò?
«Venne in radio con Bernardo Cherubini, il fratello di Jovanotti.
Non voleva proporsi, gli avevano detto che da noi era pieno di belle ragazze. La sera andammo a cena e ci fece morire dal ridere. Faceva l’animatore nei villaggi Valtur. Gli dissi: “Ti propongo di fare il mattatore per il Villaggio Italia”».
Jovanotti?
«Al Disco verde del 1988 gareggiava contro dei miei artisti, i Tu-tu.
Perse. Ma sprigionava energia allo stato puro, pregai di arruolarlo all’istante».
Amadeus?
«Me lo segnalò Vittorio Salvetti. Gli feci fare un provino. Dopo un mese lo incontrai, aveva le occhiaie. «Eh, ti diverti la notte a Milano” lo punzecchiai. Mi confessò che si alzava ogni mattina alle 4 per prendere il treno da Verona. Vi colsi una gran serietà. La casa gliela trovai io».
Fabio Volo?
«Si presentò con un suo disco, Volo, chiedeva di farlo girare. Era simpaticissimo, molto sveglio. Mi spiegò che leggeva tre libri alla settimana. Gli suggerì di fare il deejay, che è anche un lavoro di parole. Si schermì: “Ma io non l’ho mai fatto”. “C’è sempre una prima volta”, gli risposi».
Anche lei ha conosciuto il successo presto.
«L’anno magico fu il 1981. Uscì G ioca
jouer e condussi Sanremo. Quando lasciavo l’Ariston le madri mi mettevano in braccio i loro bambini».
Rischiò di perdersi?
«Di montarmi la testa, come minimo. Fu fondamentale il mio manager, Dino Vitola. Il suo motto: “Ogni giorno devi dimostrare quello che sei».
Che qualità deve avere un deejay?
«Deve capire cosa vuole la gente che viene in discoteca. Un po’ come il sindaco, solo che in questo caso la pista è la città».
Cioè?
«Quando a fine serata ti urlano dalla pista “mettine un altro” allora ce l’hai fatta. Guidare un Comune non è molto diverso. Dipende solo da te».
Lei si è candidato già a Misano.
«Sì, tre anni fa, e per poco non ho vinto. La candidatura a Riccione è nata così».
Cos’è Riccione?
«Un brand. Tutti ricordano l’Acquafan, un modello che ho inventato io. Non basta limitarsi a coprire le buche, quello è l’ovvio, bisogna pensare alle cose straordinarie che si possono realizzare».
È ancora pieno di tedeschi?
«Adesso soprattutto di russi».
Quelli quest’anno non verranno.
«Speriamo che la guerra finisca presto. È un conflitto che mi mette paura».
La movida degli anni Ottanta resta irripetibile?
«Perché? La voglia di divertimento è sempre la stessa. Non sono tra quelli che rimpiangono il passato.
Ho sempre guardato avanti».
Lei a Riccione si è pure sposato.
«Con Mapi, trent’anni fa».
Il segreto per restare insieme?
«Bisogna essere affini, volersi bene, perdonarsi nel limite del possibile.
La pandemia è stata un buon branco di prova per le coppie».
L’ha mai rivelato a Mike Bongiorno che non era lei quello del programma del mattino?
«Sì, anni dopo. “Come vedi non mi sono sbagliato”, mi rispose».