la Repubblica, 19 aprile 2022
La ferocia russa è solo propaganda ucraina. Lo pensa un italiano su quattro
Assistiamo da quasi due mesi a “una guerra in diretta”. L’intervento armato della Russa in Ucraina, infatti, è stato seguito dai media fin dall’inizio. In tempo reale. Uno spettacolo di violenza, che ha sollevato indignazione, preoccupazione. Paura. Presso una larga maggioranza di persone. Anche per questo, è divenuto “permanente”. Perché lo “spettacolo della paura”, come si sa, suscita e stimola l’attenzione. Fa “ascolti”. Tanto più quando si tratta di uno spettacolo che “riproduce” la realtà. Ma provoca dibattito. Perché solleva dubbi. Sospetti. Fino a “negare” l’evidenza dei fatti, confondendo, talora annullando, la distinzione fra vittime e aggressori. Come si sta verificando in questa occasione. Il sondaggio condotto di recente da Demos per Repubblica fornisce, al proposito, numerosi motivi di riflessione. E preoccupazione.
Sottolinea, anzitutto, quanto sia ampia l’attenzione degli italiani nei confronti della guerra tra Russia e Ucraina. Quasi sette persone su 10, infatti, si dicono (molto o abbastanza) informate sugli avvenimenti e l’evoluzione del conflitto. Nella maggioranza dei casi, giudicano positivamente la rappresentazione della guerra offerta dalla tv. Un po’ meno, la narrazione e la cronaca proposte dai giornali, apprezzate, comunque da metà dei cittadini. La tv, d’altronde, costituisce da tempo il principale canale di informazione. Gli italiani si dicono, invece, molto meno soddisfatti del ruolo svolto dai talk show. Che enfatizzano il conflitto in Ucraina, fino a trasformarlo in un “spettacolo permanente”, nel quale, di fronte alle immagini della tragedia, recitano “attori” di diversa professione e impostazione. Esperti di geo-politica e di guerra, cronisti, giornalisti, analisti, opinionisti. Politici e militari. Presenti dovunque. Hanno occupato la scena dove prima intervenivano altri “specialisti della paura”. Virologi e medici che si occupavano – e si occupano – di un problema fino a ieri dominante e, pressoché, unico. Nella vita pubblica e personale. Il Covid. Oggi largamente oscurato e messo in ombra dall’intervento russo in Ucraina.
Nell’insieme, però, la “comunicazione” intorno alla guerra suscita, fra i cittadini, un atteggiamento scettico. In parte, diffidente. Quasi metà degli italiani (intervistati da Demos), infatti, ritiene l’informazione sul conflitto “distorta e pilotata”. Quasi una persona su quattro, in particolare, la ritiene faziosa. Ed esprime un approccio “negazionista”, quasi complottista. Ritiene, cioè, che le notizie e le immagini dei massacri compiuti siano largamente false o falsificate. Amplificate e/o costruite ad arte dal governo ucraino. E, dunque, “ispirate” da Volodomyr Zelensky per delegittimare la figura di Vladimir Putin e “criminalizzare” l’azione dell’esercito russo. Oltre gli stessi limiti segnati da una guerra. Per costruire un “nuovo muro”. Contro la Russia.
La diffidenza verso l’informazione sulla guerra appare diffusa, nella società. E politicamente “trasversale”. Ma risulta particolarmente estesa nelle componenti che si collocano più a destra. Fra gli elettori dei Fratelli d’Italia: 60%. È, tuttavia, maggioritaria anche nella base della Lega, del M5S. E, appena più ridotta, tra chi vota Fi.
Solo gli elettori del Pd affermano, in gran parte, di credere alla rappresentazione della guerra proposta dai media. Il profilo della “diffidenza mediatica” si riproduce, enfatizzato, quando si osservano la ri-costruzione e l’attribuzione delle responsabilità di fronte agli effetti sanguinosi e tragici dell’invasione russa. In questo caso, quasi un quarto degli italiani (intervistati) manifesta “distacco”, più che “distinguo”. Ritiene, cioè, le notizie e le immagini che provengono dal centro della guerra false. Una “montatura del governo ucraino”. Raccolta e accolta dai nostri media per interesse politico. E per alimentare gli indici di ascolto e di consumo mediatico.
Si tratta, “sicuramente”, di indici e indicazioni poco “rassicuranti”. Tuttavia, non è da oggi che l’in-sicurezza è al centro dell’attenzione pubblica. E, per questa ragione, può diventare motivo di attrazione e, altresì, dis-trazione. Fino a generare, paradossalmente, “sicurezza”. Perché ci sentiamo “sicuri di essere in-sicuri”. E possiamo assistere alle immagini e alla cronaca della guerra come se non ci riguardassero. Da spettatori. Tuttavia, siamo consapevoli che si tratta di uno spettacolo che ci potrebbe coinvolgere. E travolgere. Perché rappresenta eventi che, già ora, ri-producono effetti pesanti sulla nostra economia. Sulla nostra vita. Per questo, è diffusa la tentazione di tenerci lontani. Al di qua dello schermo. Sperando che lo schermo non si spezzi. O, peggio, non ci attragga. Trasformandoci, a nostra volta, da spettatori in attori. E vittime.