il Giornale, 19 aprile 2022
Il ritorno dei cosacchi
In un verso dell’inno ucraino si parla dei nemici del Paese che spariranno «come rugiada al sole del mattino». E poi si prosegue: «Mostreremo, fratelli, che siamo la nazione cosacca». La regione della Zaporizhzhia, quella dove si trova una delle centrali nucleari prese di mira dalle truppe di invasione, è, insieme alle rive del Don in Russia, la culla del cosaccato. Mito russo per eccellenza, mito ideale e letterario da Gogol a Tolstoj, i cosacchi hanno in realtà un ruolo molto più importante nell’identità ucraina che in quella del vicino orientale. Il termine, dal turco kazak, uomo libero ma anche brigante e predone, indica gli uomini delle steppe, la popolazione seminomade di diversa provenienza che si muoveva a suo piacimento nelle immense pianure a Nord di Mar Nero e Mar Caspio: una comunità autonoma di guerrieri, a cui si univano avventurieri e servi della gleba in fuga, basata sull’elezione democratica del capo, l’atamano (o etmano, dal tedesco Hauptmann).
Della Zaporizhzhia (il nome vuol dire oltre le rapide, in riferimento al fiume Dnepr) è il cosacco più famoso della letteratura: Taras Bulba, creato dall’ucraino russificato Nicolaj Gogol, o Mykola Hohol per dirlo in lingua originale, reso famoso da Hollywood in un film degli anni Sessanta («Taras Il Magnifico») interpretato da Yul Brynner e Tony Curtis. Più a est si svolgono, invece, le vicende dei cosacchi del «Placido Don» di Michail olochov (Premio Nobel nel 1965), un’altra opera letteraria che ha contribuito a consolidare la leggenda.
UGUALI E DIVERSI
Tra cosacchi russi e ucraini c’è però una differenza non da poco: i primi non riuscirono mai ad esprimere la propria indipendenza politica in contrapposizione alla potenza degli zar. I secondi, per almeno tre secoli, dal XIV al XVII, rimasero autonomi e grazie alle capacità degli atamani che si susseguirono alla loro guida furono in grado di giostrarsi tra le superpotenze dell’epoca: il nascente impero russo, il regno polacco-lituano, il Khanato della Crimea, erede delle orde di Gengis Khan, il Sultano di Costantinopoli.
Alleandosi a volte con gli uni a volte con gli altri, i cosacchi ucraini riescono alla metà del XVII secolo a creare un abbozzo di stato indipendente, che nel 1654 firma un trattato con lo zar. Sarà quest’ultimo, alla fine, ad avere il sopravvento riconducendo alla propria sovranità tutti i territori a est del Dnepr. Fino a quando nel 1775, Caterina di Russia non farà distruggere definitivamente la Zaporizhzhia Sich, la capitale-accampamento degli ultimi cosacchi del Dnepr.
Quando, alla fine dell’800, il sentimento nazionale ucraino diventa forza politica, uno dei «padri» della patria, lo storico Mykhailo Hrushevsky, dichiara che i cosacchi non sono altro che i predecessori dell’Ucraina moderna. E ancora, quando tra il 2013 e il 2014 a Kiev esplode la protesta di EuroMaidan contro il presidente filo-russo Yanukovich, i manifestanti accampati per settimane in piazza si organizzano spontaneamente secondo le antiche usanze cosacche: formano una starshina, un consiglio dei capi, si dividono in centurie, sòtni, alla cui guida c’è un leader dal nome cosacco, sòtnik.
Il passato influenza la mentalità del Paese, ha scritto sull’Economist il sociologo e filosofo Volodymyr Yermolenko. Se i russi tendono al rispetto dell’autorità, gli ucraini hanno una visione anti-autoritaria fino all’anarchia: «La cultura politica in Ucraina è basata su valori repubblicani, democratici e anti-tirannici. La maggior parte dei russi approva quello che fa lo zar, gli Ucraini si identificano sempre con l’opposizione», sostiene Yermolenko. Il potere non cade dall’alto ma ha all’origine un rapporto di tipo contrattuale: «È un riflesso di quando i guerrieri cosacchi si accordavano ed eleggevano i propri leader in cambio del riconoscimento dei propri diritti e delle proprie libertà. È una mentalità profonda e impossibile da sradicare. Il Cosacco, libero guerriero della steppa selvaggia, è uno dei simboli dell’identità ucraina».
LE RIVOLTE
Di questa mentalità cosacca, anarchica e insofferente all’autorità (da questo punto di vista non c’è molta differenza tra Russia e Ucraina) sono testimonianza le molte ribellioni che li hanno visti contrapporsi al potere dello zar. Sten’ka Razin, nato lungo il corso del Don, è passato nella tradizione popolare (alimentata in questo caso anche in epoca sovietica), come il rivoluzionario che ribellandosi ad Alessio I, cercò di liberare i servi della gleba. Eroe dei poveri e degli oppressi, finì per essere tradito dai suoi e consegnato allo zar, che secondo i costumi dell’epoca lo fece torturare orribilmente e poi squartare in pubblico. Chiedeva la liberazione dei servi della gleba anche Emel’jan Ivanovic Pugacëv, immortalato nella Figlia del capitano di Pushkin. Fu Pugacev a capeggiare tra il 1773 e il 1775 la più grande rivolta contadina della storia zarista (in carica allora c’era Caterina II). Anche in questo caso la sua fine fu orribile: tradimento e morte in mezzo ad atroci sofferenze.
La violenza è tra gli elementi più caratteristici della storia cosacca. Quando Hollywood decide di fare un film del libro di Gogol Taras Bulba, prende come spunto la trama ma cambia completamente i toni e il finale, creando dal nulla un lieto fine adatto ai gusti «soft» del moderno pubblico cinematografico. Il libro è al confronto una specie di Grand Guignol: il protagonista uccide personalmente un figlio, colpevole di aver tradito la propria gente, e assiste all’esecuzione pubblica dell’altro; tra un capitolo e l’altro non si contano morti, torture e squartamenti.
Allo stesso tempo, tipicamente cosacco è il gusto della sfida e della beffa. Il quadro più famoso che li riguarda, quello pubblicato nella pagina precedente, opera di Il’ia Repin, il più noto tra i realisti russi della seconda metà dell’Ottocento, ha un nome che dice già tutto: «I cosacchi della Zaporozhzhia scrivono una lettera al Sultano». La tela racconta un episodio leggendario: alla metà del XVII secolo, durante una delle periodiche guerre russo-turche, il Sultano chiede agli avversari cosacchi di sottomettersi. Gli interessati gli rispondono imitando lo stile aulico delle missive ufficiali, ma arricchendolo di beffardi e sanguinosi insulti.
Lo stesso gusto per lo sfottò irridente, per l’impudente coraggio si è visto in un episodio ormai famoso come quello dell’Isola dei serpenti, quando una sparuta pattuglia di ucraini ha mandato a quel paese (con termini molto più coloriti) la nave russa che li invitava ad arrendersi. Il francobollo commemorativo dell’evento (un soldato che alza il dito medio alla nave russa ritratta sullo sfondo) è andato a ruba, in un Paese che, comprensibilmente, potrebbe avere tutt’altro a cui pensare.
MILIZIE MODERNE
Oggi il mito dei cosacchi viene sbandierato da entrambe le parti impegnate nell’attuale conflitto. Se gli ucraini ne rivendicano origini e valori, i russi con una legge del 2005 hanno ricreato una milizia paramilitare ispirata al passato. Secondo l’associazione che li rappresenta «L’Unione delle forze cosacche», 5mila tra loro, cittadini ucraini, hanno già combattuto per le milizie separatiste in Donbass a partire dal 2014. Altri 30mila provenienti dalla Russia li hanno affiancati. Tutti i morti sono stati sepolti in Ucraina, ha dichiarato Viktor Vodolatsky, deputato della Duma di Mosca ed ex atamano, perché «volevano riposare nella terra dei loro antenati».
Custodi delle tradizioni e legatissimi alla religione ortodossa i Cosacchi russi (impiegati come cavalleria specializzata dagli zar, fuori legge ai tempi del comunismo e rinati con la perestroika) sono stati schierati già negli anni Novanta in Transnistria e in Abkazia, area ribelle della Georgia. Più spesso vengono impiegati con compiti di ordine pubblico. Hanno contribuito a soffocare le proteste dei seguaci di Alexey Navalny e sono stati mobilitati in gran numero per il referendum in Crimea sull’annessione alla Russia. A loro, dicono gli ucraini, era stato affidato il lavoro «sporco»: picchiare e mettere in galera chi protestava.