Corriere della Sera, 19 aprile 2022
Intervista ad Alessandro Borghi
Per Alessandro Borghi, uno dei punti di forza della serie sul mondo della finanza che lo vede protagonista assieme a Patrick Dempsey, Diavoli (la seconda stagione sarà disponibile dal 22 aprile su Sky Atlantic e in streaming su Now), è che non parla di bene e male, ma di scelte. «Sono di origini popolari (è cresciuto all’Eur, a Roma, ndr) e ne vado fiero – spiega —. Ma sono cresciuto in un posto dove l’essere umano che avrei voluto diventare era molto lontano da quel contesto. La scelta che ho dovuto fare da molto giovane è stata se far parte di quella roba lì o se guardala da lontano». In altre parole: «Quando hai 15 anni e tutti i tuoi amici o si drogano o fanno le rapine e tu decidi di non farlo, ecco, quella è una scelta».
Oggi, in virtù di quella scelta, si trova a recitare fianco a fianco con Dempsey.
«A Patrick voglio molto bene, mi ha accolto in una maniera non scontata. Ci siamo incontrati alla prima lettura e sembrava ci conoscessimo già da tempo. Questa seconda stagione, poi, è ancora più bella della prima».
Dopo la Brexit sullo sfondo arriva il Covid. È stata annunciata una terza stagione in cui ci sarà la guerra.
«Purtroppo ogni anno c’è qualcosa di nuovo. Ma come per il Covid, anche la guerra in Ucraina sarà raccontata per capire certi meccanismi di cui i cittadini sono all’oscuro. Con Diavoli andiamo a indagare dietro la facciata».
Non c’è il rischio di restare contagiati da tanto cinismo?
«Ho una dote: riesco a scindere moltissimo il mio lavoro dalla mia vita. Dopo la prima stagione sarei potuto diventare ceo di qualche azienda e cambiare carriera per tutto quello che mi è stato spiegato, ma preferisco pensare che ognuno di noi dovrebbe semplicemente cercare di sapere il più possibile, per rendersi conto delle conseguenze delle nostre azioni quotidiane».
Di questi tempi si tende spesso al complottismo.
«Sì, ma anche al parere facile, acchiappa like. Non so perché tante persone siano convinte che tutti debbano sapere ad ogni costo cosa pensano di un argomento. È tutto un problema di ego: quando entri nel loop di pensare che tutti aspettano la tua opinione è un guaio».
Lei, stando all’uso dei suoi social, non corre il rischio.
«Cerco di fare del mio meglio, ma spesso quando leggo opinioni non richieste mi viene da rispondere: “Per scrivere certe cose che fonte hai? Che fondamenta ha il concetto che stai esprimendo?”. Mi trattengo, ma non sempre».
Uno dei suoi ruoli più celebri è quello di Stefano Cucchi. Cosa pensa della sentenza che ha portato in carcere due carabinieri per 12 anni?
«È una risposta alla lotta che si sta facendo da tanti anni con Ilaria (la sorella di Cucchi, ndr) e con una serie di persone che non crede che Stefano fosse un tossico che meritava di morire. Ho due pensieri a riguardo: il primo è che 12 anni sono pochi, il secondo è che ci sono molte persone rimaste impunite e che invece dovrebbero pagare le conseguenze per quello che hanno fatto. Un sacco di persone non si sono occupate di Stefano come avrebbero dovuto, non solo due».
Per Sky ha anche girato il nuovo film di Francesco Carrozzini, «The Hanging Sun».
«Un progetto molto bello, che nasce e si sviluppa sotto il segno della nostra amicizia. È un viaggio meraviglioso che ci ha portati in Norvegia, in un luogo alieno. Sette settimane che hanno agito su di me in maniera concreta: una volta tornato a Roma avevo gli attacchi di panico e cercavo i fiordi. È stata una grande occasione far parte di un contesto internazionale».
Le piattaforme aprono le porte all’internazionalità.
«È un loro merito ma spero ritornino ad essere quello che erano all’inizio: mi pare infatti che alcune si stiano avvicinando sempre più a una tv generalista. Il mio auspicio è che tornino a puntare sulla qualità e non sulla quantità».