Il Messaggero, 19 aprile 2022
Samantha Cristoforetti tona nello spazio. Intervista
Samantha Cristoforetti, il 23 aprile tornerà in orbita per quasi 6 mesi sull’Iss per la missione Minerva dell’Esa a distanza di 7 anni dalla sua prima spedizione: quanti post-it ha lasciato sul frigorifero di casa a Colonia?
«Ho la fortuna - dice da Houston - di avere un partner che ha sempre dimostrato di cavarsela molto bene in famiglia e di essere il punto di riferimento per i nostri due figli anche per lunghi periodi. Noi astronauti dobbiamo molto a chi ci aiuta quando siamo lontani da casa in missione o in addestramento».
Come si spiega ai figli che la mamma andrà per così tanto tempo sulla Stazione internazionale? Magari non ne sono troppo sorpresi visto che crescono in una famiglia spaziale come la sua o come quella degli americani Meghan Mac Arthur e Bob Behnken, che hanno già volato a turno sulla Dragon?
«Forse sì, di spazio in famiglia effettivamente si parla. A ogni modo i nostri figli sono ancora piccoli e anche per la maggiore, 5 anni, non è facile farsi un’idea dei tempi di assenza della madre. Ma c’è molta serenità».
Alcuni degli ultimi film sullo spazio, ad esempio Proxima e Away, sono incentrati su astronaute-madri divise fra i lunghi viaggi spaziali e le relazioni con i figli. Li avete visti in famiglia?
«No, anche se conosco Proxima, perché il mio partner (addestratore di astronauti, ndr) ne è stato consulente. In realtà tutto viene vissuto come molta naturalezza che sia la madre o che sia, come avviene più spesso, il padre a partire per lo spazio. Sarà bello passare con la famiglia qualche giorno della quarantena pre-lancio a Cape Canaveral».
Dalla vetusta navicella Soyuz alla sfavillante Crew Dragon di SpaceX di Elon Musk finora mai usata da un italiano: è come passare da una Zhigulì (versione russa anni 60 della Fiat 124) a una Tesla?
«(risata) Eh? Non ho queste competenze automobilistiche, ma sì, sono due cose completamente diverse, con relativi pro e contro. Mi mancheranno le bacchette per pigiare i tasti del quadro di comando della Soyuz, mentre sulla Dragon, che ha sedili più confortevoli, si usano i touch screen. Però la Soyuz, che è più autonoma in fatto di pilotaggio, è divisa in due volumi: un vantaggio se, ad esempio, si deve usare la toilette. C’è più privacy rispetto all’unico, sia pure vasto, volume della Dragon in cui si è riparati solo da una tendina quando si estrae la toilette da un portellone sul soffitto. E siccome il viaggio dura anche 30 ore è certo che la useremo».
A scanso di equivoci hanno disegnato le classiche figurine di uomo e donna stilizzate sul portellone-toilette.
«Sono certa che la troveremo».
In queste settimane voi astronauti della missione Crew-4 (gli americani Kjell Lindgren, Robert Hines e Jessica Watty Watkins, geologa che è stata anche nazionale di rugby a 7) avete temuto per le sorti della missione dopo che i vertici di Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, hanno minacciato di bloccare la collaborazione con Usa, Europa, Canada e Giappone sull’Iss se non fossero state tolte le sanzioni innescate dall’aggressione all’Ucraina?
«No, mai, perché chi fa parte della comunità legata alle attività spaziali, quindi non solo gli astronauti ma anche le migliaia e migliaia di tecnici che rendono possibili le missioni, sa bene quanto è forte lo spirito di valorizzare più ciò che unisce rispetto a ciò che divide. Vi sono lunghissime collaborazioni, nel caso dell’Iss dal 1999, basate su valori, amicizie, rispetto, condivisione di obbiettivi che rafforzano rapporti saldissimi. Si lavora per anni a progetti che richiedono la massima fiducia reciproca. Fra noi c’è la totale attenzione a quanto di terribile sta accadendo, con una forte partecipazione alle sofferenze delle popolazioni, ma al tempo stesso siamo certi della solidità della cooperazione internazionale alla base del progetto dell’Iss fino alla sua scadenza nel 2030».
Grazie agli amici russi potrebbe mettere a segno un altro record per un’italiana: la prima passeggiata spaziale?
«C’è questa possibilità anche se i calendari delle Eva sono molto variabili».
Si è allenata con la tuta russa Orlàn (aquila di mare), un imponente scafandro pesante 112 chilogrammi?
«Sì, mentre le tute americane sono componibili addosso agli astronauti richiedendo quindi l’aiuto di almeno un collega, la tuta russa Orlàn per i cosmonauti è in un unico pezzo, con un ampio portellone posteriore da cui entrare e uscire anche senza assistenza».
In situazione di microgravità sull’Iss seguirà oltre 150 esperimenti già in corso e ne avvierà almeno 8: quali hanno attirato di più la sua curiosità?
«Quello che indaga sulle particelle antiossidanti contro la degenerazione delle cellule neurali e quello sull’influenza dell’ambiente spaziale sulla funzione ovarica ed endocrina».
Metà dei moduli abitativi dell’Iss sono made in Italy e la stazione conta sul decisivo contributo dell’Esa. L’Europa, però, con le proprie forze non ha mai mandato equipaggi nello spazio: è arrivato il momento di raggiungere questa autonomia, come avete scritto nel recente Manifesto degli astronauti europei?
«Sì, lo scenario internazionale è cambiato, non ci sono più solo le grandi potenze, sono in attività anche privati come appunto SpaceX. L’Europa ha forze e competenze per portare equipaggi in orbita e garantire così un sostegno ancora più importante all’esplorazione spaziale».
Sente la responsabilità di ispirare i giovani e in particolare le donne ad occuparsi di spazio? Nel concorso Esa ora alle battute finali c’è stato un boom di domande (22.589 per 6 posti, ndr) ma nel gruppo dei candidati italiani le donne sono solo il 19%. Meglio del 16% del precedente bando, ma sotto il 23% della media europea.
«I modelli di ruolo sono importanti e noi astronauti facciamo il massimo per favorire il coinvolgimento dei giovani. Personalmente, pensando a quando ero bambina e sognavo di diventare astronauta, mi bastava sapere che gli astronauti esistessero: non era così facile seguire le loro missioni come avviene oggi».
Tra i modelli che lei certo non aveva da bambina c’è adesso la bambola Barbie Cristoforetti: chissà quante ne ha in casa?
«Sì, me ne hanno mandate alcune, ma devo dire che mia figlia non ne è restata molto colpita».