Corriere della Sera, 19 aprile 2022
La guerra dopo la caduta di Mariupol
La caduta di Mariupol è stata annunciata a lungo, ma stavolta sembra ormai imminente: la resa potrebbe arrivare già entro questa settimana. Per i russi sarebbe la prima vittoria nel corso dell’operazione militare «speciale»: la città era uno degli obiettivi principali di Vladimir Putin, soprattutto perché permetterà di aprire un passaggio via terra fra la Crimea, annessa nel 2014, e la madre patria. La conquista di Mariupol avrebbe una grande importanza strategica, e darebbe ai russi il controllo del Mar d’Azov e dell’80% della costa ucraina del Mar Nero. Una volta caduta Mariupol, oltretutto, circa 6 mila uomini impiegati nell’assedio potranno essere trasferiti su altri fronti: a est, ma anche a ovest, per conquistare Odessa, oppure a nordovest, verso Dnipro.
La presa di Mariupol offrirebbe a Mosca una grande opportunità di propaganda, con la sconfitta del reggimento ultranazionalista Azov, e darebbe uno slancio morale alle truppe sfiancate. Dopo l’affondamento del Moskva, i russi hanno intensificato i bombardamenti in tutto il Paese, anche a Leopoli, dove per la prima volta sono stati colpiti i civili: è una tattica classica dell’Armata, ma anche una rappresaglia per l’umiliazione subita. Nel frattempo, le truppe di Putin stanno ultimando la riorganizzazione nella parte orientale del Paese. «Le forze russe in via di schieramento nell’Est dell’Ucraina continuano ad avere problemi di morale e approvvigionamento», scrive tuttavia l’Institute for the Study of War. «Sembra improbabile che intendano o siano in grado di condurre una grande ondata offensiva nei prossimi giorni».
Le rispettive debolezze
Il generale Mark Hertling, ex comandante delle truppe Usa in Europa, ha tracciato un suo scenario su uomini e manovre delle prossime settimane. Il nuovo generale Alexandr Dvornikov è atteso da tre missioni: la rigenerazione dei reparti; la logistica, il tallone d’Achille dell’Armata; il concentramento di forze nelle aree in cui dovranno scatenare uno sbarramento di fuoco. Hertling, però, avverte: non conta quanto sia bravo un generale, ci vuole tempo per integrare riserve e reclute nel nuovo dispositivo d’assalto. Dvornikov deve inoltre risolvere i problemi nella catena di comando. Un altro esperto, l’australiano Mick Ryan, è ancora più negativo sulle capacità dello stato maggiore nell’adattarsi a quanto emerso dal campo di battaglia, ma ritiene che sia migliorato l’intervento dell’aviazione.
Non meno arduo è il compito degli ucraini. Devono contare su un contingente flessibile, altamente mobile, per sottrarsi ai bombardamenti massicci. Sarà necessaria una forza di reazione rapida da usare per tamponare le possibili brecce nella linea di difesa. Devono quindi disporre di una logistica leggera ma efficace, mentre i soldati devono essere bene addestrati all’uso delle armi fornite dagli occidentali. Fondamentale è l’impiego di radar «dedicati» all’individuazione dei cannoni nemici.
Le due opzioni di Mosca
La seconda fase – dopo il martellamento da parte dei russi con lunghi calibri, missili e razzi – vedrà grandi combattimenti per il controllo di snodi stradali, di alcune località strategiche, dei guadi dei fiumi e dei ponti. Le battaglie non saranno più nelle strade o nei sobborghi delle grandi città, come successo al nord, ma nelle fattorie e negli sterminati campi ucraini: questo comporterà anche l’uso di armi – e strategie – diverse. Sara una battaglia di manovra convenzionale e molto letale. Gli spazi aperti potrebbero avvantaggiare i russi, che contano su circa 40 mila soldati e hanno armi migliori e più potenti, ma gli ucraini possono colpire dalle trincee, sfruttando anche la migliore conoscenza del territorio, o con i blitz di piccole unità molto efficaci al Nord.
I russi, spiega l’ex generale australiano Ryan, hanno a questo punto due opzioni per raggiungere gli obiettivi: una ambiziosa, che prevede il doppio accerchiamento delle forze ucraine per ottenere il pieno controllo di tutto il territorio a est del fiume Dnipro; l’altra «minimalista», con la conquista delle due regioni separatiste, che puntano già dal 2014 e che restano l’obiettivo principale di questa guerra.