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 2022  aprile 19 Martedì calendario

I 90 anni di Arrigo Cipriani tra i tavolini bassi dell’Harry’s Bar

Orson Welles e Onassis, Agnelli e Liz Taylor, i politici e le contesse: Arrigo Cipriani racconta al Corriere i suoi 90 anni. «Il momento più bello? La Liberazione. Sono un antifascista di destra».
«Le nobildonne erano stupende».
Come mai, Arrigo Cipriani?
«Belle, ricche e parsimoniose».
Chi era la più bella?
«Una volta avrei detto Diana Cooper: portava cappelli enormi, non aveva mai preso un raggio di sole in vita sua. Ora direi la duchessa di Manchester. Aveva sposato un petroliere, poi un banchiere, infine il duca di Manchester: e ognuno le aveva lasciato qualcosa».
Tra le italiane?
«La contessa Morosini non perse mai una partita di poker. Diceva: vedo!, e poi, ogni volta: vinco io! L’avversario, intimidito, non osava chiedere alla contessa di mostrare le carte, e accettava di perdere. Era celebre per l’arte di riciclare i regali. A un matrimonio regalò un candelabro».
Cosa c’è di strano?
«Lo sposo replicò: quando glieli donai io, contessa, erano due. Un’altra volta Hemingway per renderle omaggio le comprò una scatola di caviale da mio padre. Il giorno dopo lei si presentò qui, e gliela rivendette».
Com’era Hemingway?
«Sono novant’anni che me lo chiedono. Hemingway era amico di mio padre, ma io ero un bambino, all’Harry’s Bar non mi facevano entrare, e non l’ho mai conosciuto».
Come mai non la facevano entrare?
«Perché era un posto per grandi, dove si lavorava. Il mio primo ricordo coincide con la prima volta in cui fui ammesso nel locale: presi una spremuta d’arancia. Il secondo ricordo è quando papà mi diede in mano una pirofila per servire il risotto».
E lei?
«Mio padre mi diceva sempre: non fare domande, guarda e impara. Così guardai gli altri, e imparai a servire il risotto».
E qual è il suo primo ricordo pubblico?
«La liberazione. L’Harry’s Bar era stato requisito dai nazifascisti. Venezia era sprofondata da anni nel silenzio. L’arrivo dei liberatori fu la più bella emozione della mia vita».
Americani?
«Neozelandesi. Sbarcarono a San Marco con gli anfibi: non avevo mai visto una macchina che navigava. La città esplose in un boato. La gente si abbracciava, rideva, cantava, danzava. Fu meraviglioso».
Com’era la guerra?
«Oggi non se ne ha idea. Quella che vediamo in tv non è vera guerra».
Come non lo è? I russi stanno commettendo atrocità spaventose.
«Non ne dubito, ma noi italiani abbiamo vissuto di peggio. Bombardarono i depositi di benzina di Marghera. Mitragliavano la ferrovia tutti i giorni. Stavo andando a scuola, e un blindato tedesco tentò di schiacciarmi: per sfregio, per crudeltà. Mi salvai gettandomi in un fosso».
Com’era il fascismo?
«Orribile. Io sono un antifascista di destra. Il mio leader di riferimento è Winston Churchill. Ovviamente sono anche anticomunista. E da mezzo secolo mi oppongo a un’ideologia che per fortuna sta tramontando».
Quale?
«Il Sessantotto. La rivoluzione dei ricchi. Siccome non erano poveri ma figli di papà, non avevano vere rivendicazioni; è stato solo un fatto di immagini, di parole. Ormai è vietato chiamare le cose e le persone con il loro nome. Non mi piacciono né i fanatici di destra, che inorridiscono a sentir nominare una persona di sinistra…».
Ad esempio?
«A Venezia ho votato Casson: ha pure fatto il ricevimento di nozze qui all’Harry’s Bar… E non mi piacciono i fanatici di sinistra, che se gli nomini Berlusconi ti guardano con disgusto».
Lei cosa pensa di Berlusconi?
«Un uomo molto intelligente».
Bossi o Salvini?
«Salvini è stato rovinato da Facebook, che io chiamo Fartbook, per cortesia non traduca. I social hanno dato voce a tutti, anche a chi non sa nulla. E i politici come Salvini ne sono stati travolti. Inseguendo la tendenza del momento, hanno perso contatto con la realtà. Zuckerberg meriterebbe una severa pena detentiva».
La Meloni?
«Fare l’opposizione è facile. Io posso parlare male del ristorante di fronte; ma devo offrire un menu migliore. Qual è il menu della Meloni? Qual è il suo programma di governo?».
Cacciari?
«Si arrabbia troppo. Strepita. In tv lo sanno e lo invitano per questo. Ha scritto molti libri, molto complicati. Un giorno ne parlai con Calasso, che mi rispose: anch’io non li capisco; però li vendo».
Zaia o Brugnaro?
«Zaia è concreto, aderente al territorio. Brugnaro vive a Mogliano, conosce poco Venezia. Adesso però è stato male, quindi tifo per lui».
Macron o Marine Le Pen?
«Voterei Macron. Anche se non lo trovo sincero. E considero questa Europa un fallimento».
Perché?
«Non mi convince Ursula von der Leyen. L’abbiamo vista abbracciata a Greta, ora in missione con il giubbotto antiproiettile… Io ho fatto il vaccino cinese a Dubai, e lei non l’ha riconosciuto: una scelta ideologica».
L’Europa è la nostra salvezza, non crede?
«No. I tedeschi, terrorizzati dal fantasma di Weimar e degli anni 20, hanno imposto la moneta unica e la deflazione. Ma un po’ di inflazione faceva bene alla nostra economia».
Direi che ora ci siamo…
«Io sul futuro dell’Italia sono ottimista».
Perché?
«Perché ci sono gli italiani. Il popolo più straordinario del pianeta».
È ottimista anche sul futuro di Venezia?
«Sì, a patto che riportiamo in città gli abitanti, e il lavoro. A cominciare dall’artigianato, che qui ha una storia millenaria. A Lepanto abbiamo vinto perché l’Arsenale costruiva una nave in un giorno».
E l’acqua alta?
«C’è sempre stata; e ogni volta, anche nel 1966, noi abbiamo riaperto il locale il giorno dopo. L’acqua sale da sopra, pulisce, e refluisce. Il Mose non l’hanno fatto per salvare Venezia, ma per rubare».
E il riscaldamento del pianeta? Non crede che Greta abbia posto una questione epocale?
«Sono negazionista. La penso come Rubbia e Zichichi: l’uomo incide solo per il 5 per cento».
Come si arriva a novant’anni?
«Grazie al karate. L’ho imparato da due maestri: Hiroshi Sharai e Taiji Kase. Kase allenava i campioni italiani. Mi diceva: li batterei tutti; e aveva già sessant’anni».
Ha provato anche lo yoga?
«Sì, ma mi annoiavo: non riesco a stare fermo».
Orson Welles l’ha conosciuto?
«Lui sì. Grande carisma: da solo riempiva questa stanza. E grande appetito: appena lo vedevamo entrare, gli portavamo una bottiglia di Dom Perignon ghiacciato e dodici sandwich ai gamberetti. Una volta partì senza pagare. Lo inseguii in stazione. Mi disse: sali in treno con me, ti porto a Parigi!».
E lei?
«Non potevo. Allora mi gettò un pacchetto di traveller check dal finestrino, gridandomi: fai tu la firma!».
Liz Taylor?
«Carina. Ma beveva troppo».
Onassis?
«Esibizionista. Pretendeva di spaccare i piatti, alla russa. Niarchos invece era un signore. Anche se lo yacht più bello era quello di Lopez».
Chi?
«Il padrone delle coste del Cile: il re del guano. Un giorno entrò il gansèr, quello che agganciava i barchini, sventolando tutto felice un biglietto da diecimila lire. Gliel’aveva dato Lopez: aveva letto male la scritta sul berretto, e pensava fosse un malato di cancro».
Agnelli?
«Ogni volta mi chiedeva come stava mia zia Gabriella, che dirigeva la locanda sull’isola di Torcello. E io: grazie Avvocato, sta benissimo!».
Come stava zia Gabriella?
«Era morta da anni. Ma perché dovevo dare una cattiva notizia ad Agnelli? Già aveva imparato il nome di mia zia…».
Leggendaria anche la contessa Venini.
«Nel 1976 tremò il Friuli, si sentì anche qui. Tutti fuggirono, cadevano i quadri, e lei: mio buon Cipriani, cos’è questa confusione? Il terremoto, contessa. “Ah, che cosa spiacevole!”».
Carla Cipriani, sua sorella, sposò Tinto Brass.
«Un uomo di talento. Ma Carla lo aiutava molto sul set».
Lei dove paga le tasse?
«Rigorosamente in Italia».
In America però la misero in gabbia.
«Per cinque ore, con mio figlio. Quando arrivò il giudice, con cui patteggiai dieci milioni, si scusò per l’attesa. E mio figlio: “Io invece la ringrazio, perché non ho mai passato tanto tempo con papà in vita mia”. Si chiama Giuseppe come mio padre, e ha lo stesso talento. Mio padre ha fatto l’Harry’s Bar, mio figlio ha fatto l’espansione internazionale».
E lei?
«Ho passato la mia vita in questa stanza, tra i tavolini bassi, le posate piccole, le tovaglie di lino, il pavimento riscaldato a 19 gradi, le finestre studiate per cambiare l’aria diciassette volte in un’ora… Quelli del comitato tecnico scientifico non hanno la minima idea di come funziona un ristorante».
Continua a non amare i grandi chef?
«Le stelle sono finite. Si torna agli ingredienti, alle materie prime, alle ricette classiche. La vera innovazione è riscoprire la tradizione. Il miglior ristorante di Milano per me non è uno stellato, è Bice».
Cosa c’è nell’Aldilà?
«Nulla. La vita eterna è un’illusione».
Quindi Dio non esiste?
«La Chiesa nasce da una finzione, che però ha prodotto San Marco e gli altri gioielli di questa città: la più bella del mondo».