Robinson, 16 aprile 2022
Così Marx copiò Spinoza
Negli stessi mesi in cui si laureava su Epicuro, che preferiva a Democrito, il giovane Karl Marx, tra i 22 e i 23 anni, il futuro ateo, materialista, rivoluzionario ( era allora solo il figlio di un avvocato di Treviri), compilava di sua iniziativa tre quaderni, trascrivendo il Tractatus theologico- politicus di Baruch Spinoza, il filosofo olandese che per le sue idee eretiche era stato condannato con una delle più spettacolari sentenze mai emesse da un tribunale religioso. Il consiglio dei rabbini di Amsterdam lo «escludeva, espelleva, malediceva ed esecrava» e così via per un paio di celebri pagine, con la conseguenza che doveva lasciare la città e nessuno doveva avvicinarglisi «a meno di quattro gomiti», come un appestato. La scelta del giovane neolaureato tedesco, nel 1841, confermava uno spirito avverso all’oppressione censoria delle religioni e dell’autorità in generale, e un interesse, forte e mirato, per un filosofo che aveva lasciato una impronta profonda in tutta Europa.
Spinoza era scomparso a soli 44 anni nel suo isolamento fisico all’Aia nel 1677, ma il suo nome era tornato in primo piano dopo che sul letto di morte il grande Lessing, più di cento anni dopo, aveva confessato a un amico di essere spinozist. Ne era seguita una celebre discussione innescata da Friedrich Jacobi con Moses Mendelssohn, nota come Pantheismus- Streit (dove panteismo evocava ateismo), che era ancora nell’aria nella prima metà del secolo successivo. Il tema Spinoza continuava dunque a scottare quando il giovane Karl decide di usarlo a piene mani, dando fondo al suo latino e copiandone amplissimi estratti. Trattandosi del futuro autore del Capitale, i suoi quaderni sono entrati nell’opera omnia di Marx ed Engels. E Spinoza ha preso un suo posto nella storia del marxismo, anche se ancora meglio e di più ha continuato a brillare di luce sua fino ad oggi, di fronte per esempio agli sviluppi della fisica quantistica che hanno rimescolato la tradizionale concezione della materia e riportato in primo piano l’idea spinoziana della natura come energia potenza causalità che coincidono con Dio stesso e con la realtà nella sua complessa geometrica perfezione. E non mancano complicati tentativi, su cui molto insiste la curatrice di questo volume Ludovica Silieri, del post- strutturalisno francese di farne un campione dell’emancipazione al posto di Marx, il quale crescendo non è tornato più di tanto sul suo debito con l’olandese, salvo far sua – raccontano i biografi – come una battuta ricorrente, la citazione in cui Spinoza affondava il colpo su un contraddittore colto in fallo: «L’ignoranza non è un argomento!». Gli sforzi di presentare uno Spinoza rivoluzionario si basano sul concetto di «moltitudine», che molto ricorre nel saggio introduttivo, ma in verità negli estratti (dal Tractatus e dalle lettere) “multitudo” compare una sola volta e nel contesto di un ragionamento matematico. Quale fosse il debito e quale il limite dello spinozismo di Marx è stato detto con grande chiarezza da Plechanov, il marxista russo pre- leninista (ripreso qui da Silieri solo in una nota): la stagione Spinoza del giovane Marx è rapidamente evoluta in un ateismo pieno che non aveva più bisogno del corredo teologico del panteismo del Tractatus, del Deus sive natura, perché Marx viene rapidamente attratto dalla prospettiva di Feuerbach, quella per cui la natura non ha alcun bisogno di Dio, perché esso è una proiezione umana, non il creatore perché creatori siamo noi attraverso un processo di «alienazione», la madre di tutte le alienazioni, che ritroveremo poi nello sviluppo del marxismo, tra lavoro e capitale. Non più dunque «Deus sive natura, ma aut Deus aut natura».
Il Quaderno Spinoza ora riproposto ha il testo latino a fronte e consente di cogliere questa fase del giovane Marx attraverso il duro lavoro di Alexandre Matheron (il cui saggio era già nella precedente edizione, Bollati Boringhieri, 1987, a cura di Bruno Bongiovanni), lo specialista francese che ha ricostruito il lavoro di ritaglio, cucitura e «montaggio» (attraverso congiunzioni, itaque, igitur, scilicet, etc.) che Marx fa del testo del Tractatus,mostrando chiare intenzioni e predilezioni: la critica naturalistica dei miracoli, la religione e la fede come strumenti politici che inducono obbedienza ( tema che Marx svilupperà ne La questione ebraica), il potenziale emancipativo della libertà e della democrazia, come il sistema di governo più conforme alla libertà degli individui, concetto quest’ultimo su cui Spinoza insiste e che Marx fa suo in questa fase. Poi rapidamente comparirà nel 1847 l’idea della presa del potere da parte del proletariato.