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 2022  aprile 16 Sabato calendario

Le riflessioni postume di Amos Oz

Amos Oz amava molto il suo Giuda — pubblicato nel 2014 – e lo considerava uno dei suoi romanzi più importanti. Lo faceva capire agli amici già prima che il libro fosse disponibile ai lettori. Però alla domanda diretta se quel libro fosse la summa delle sue esperienze e riflessioni, rispondeva: «Racconto parole e sentimenti dei protagonisti. Sono loro a parlare». Seguiva il sorriso, per ribadire che da scrittore non poteva che riaffermare la regola base di ogni letteratura: il narratore non corrisponde allo scrittore e i protagonisti sono autonomi rispetto all’autore. E tuttavia, tre anni dopo, nel 2017, Oz sentì il bisogno di produrre un testo, allargato nel 2018, poco prima di lasciare questo mondo e i suoi devoti lettori, che fosse metà saggio metà confessione, e che commentasse il romanzo, ne spiegasse le origini intime e il rapporto profondo fra l’autore appunto, il soggetto e i protagonisti. E così, ecco che nelle librerie italiane approda il piccolo libro (per le dimensioni) ma stupendo nella forma e illuminante nello svelamento della biografia intellettuale e sentimentale di Oz, Gesù e Giuda, con l’introduzione di Erri De Luca, nella traduzione dall’inglese (quel testo, destinato a due conferenze, fu scritto in quella lingua) di Vincenzo Mantovani ed edito da Feltrinelli. Insomma, abbiamo a che fare con un testo insolito e anche per questo estremamente interessante.
Oz parte racconta il fascino che su di lui ha esercitato Gesù. Confessa l’amore nei suoi confronti, pur nel dissenso con alcuni degli insegnamenti. La più radicale fra le divergenze è filosofica ed esistenziale. Non si può amare tutta l’umanità, dice Oz: quel sentimento, se vero, può riguardare solo persone concrete, una cerchia ristretta di uomini e donne a cui si è vicini.
L’autore i Vangeli li ha letti a sedici anni, nel kibbutz Hulda, dove arrivò come atto di rivolta contro il padre. Ora, in Israele i Vangeli non sono una lettura abituale e in genere pochi sono gli ebrei che studiano quei testi. Oz invece sente che senza la lettura del racconto su Gesù non sarebbe stato capace di «comprendere Bach e Dostoevskij». In realtà, già il fratello di suo nonno, Joseph Klausner, fra i fondatori dell’Università ebraica, lo introdusse al tema. Klausner scrisse testi dove inserì la figura di Gesù nella tradizione dei grandi eretici ebrei, come Spinoza e Heine.
E Giuda, quello dei Vangeli? Ecco, Oz spiega che nelle scritture cristiane la sua storia è scritta «molto male, somiglia allo stereotipo hollywoodiano», narra una «creatura ripugnante, subdola, infida» ed è quindi priva di coerenza logica, poco credibile, e per di più foriera di sentimenti anti- ebraici, una specie di «Cernobyl dell’antisemitismo». Attenzione, l’autore non usa il tono indignato, da profeta, ma un registro ironico, citando aneddoti e storielle da humor ebraico, e per questo più potente.
E allora: chi è Giuda secondo Amos? E qui Oz passa a riflettere sul proprio romanzo e a commentarlo. Insomma l’autore in queste affascinanti pagine sul tradimento ( il romanzo di quello parla) si tradisce e implicitamente ammette che Giuda è la somma delle sue esperienze e riflessioni, messe in bocca ai tre eroi, e li citiamo: Shemuel Asch, un giovane che crede negli ideali di progresso e lavora a un tesi di dottorato su Gesù; Atalia Abrabanel, figlia di un uomo che si opponeva alla nascita dello stato d’Israele e fu accusato di tradimento; e Gershom Wald, un anziano studioso che ha perso il figlio in guerra. Giuda dunque era un uomo benestante che non poteva tradire per una modesta somma di trenta denari. E non c’era bisogno del suo bacio per indicare Gesù ai carnefici, tutta Gerusalemme lo conosceva se non altro per aver cacciato i mercanti dal Tempio, un atto pubblico clamoroso. E quindi il Giuda di Shemuel è un uomo «che credeva in Gesù più di quanto Gesù credesse in se stesso». È stato Giuda a spingere Gesù verso il calvario perché convinto che così si sarebbe compiuto il Tempo e l’umanità sarebbe stata redenta. Dopo però si è reso conto di aver ucciso il Maestro. Tuttavia quel libro su fedeltà e tradimento, dice Oz, non ha come tema il cammino verso il Golgota, ma è una storia «di due uomini e una donna, seduti per tutto un inverno in uno studio foderato di libri, in una vecchia casa di pietra di Gerusalemme, che bevono galloni e galloni di tè e parlano e parlano ancora». È come se avesse voluto dire: io non mi sono mai occupato dell’Apocalisse né di metafisica, anche se sono vissuto in mezzo alla catastrofe e ho intravisto l’abisso; io mi sono sempre interessato ai racconti e alle relazioni fra le persone. Grazie Amos Oz, per aver tradito te stesso per darci una lezione di vera letteratura.