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 2022  aprile 16 Sabato calendario

Intervista a Tim Roth

Espressione enigmatica, 60 ben portati, una carriera di serie A che spazia da Wim Wenders a Quentin Tarantino (con cui ha girato 4 film: Le Iene, Pulp Fiction, Four Rooms, The Hateful Eights), Giuseppe Tornatore, Tim Burton, Woody Allen, Francis Coppola, Werner Herzog, David Lynch. Segni particolari: abbonato alle menzogne. Tim Roth, attore inglese residente a Los Angeles, indimenticabile Pianista sull’Oceano per Tornatore, più di una volta ha interpretato dei personaggi che hanno un rapporto tormentato con la verità. Come il poliziotto che si finge rapinatore in Le Iene, o l’analista della serie Lie to me, capace di smascherare chi mente grazie al linguaggio del corpo. L’ultimo bugiardo è il milionario inglese intorno a cui ruota Sundown, il film del messicano Michel Franco (già in concorso a Venezia, è in sala) ambientato ad Acapulco: in vacanza in un resort di lusso con la sorella Charlotte Gainsbourg e i figli di lei, alla notizia della morte della madre l’uomo non segue la famiglia che torna in patria ma, fingendo di aver smarrito il passaporto, rimane in Messico a divertirsi con irritante indolenza. E progressivamente si spoglia della propria identità per entrare in contatto con la parte più povera della città e cambiare vita. E lei ha mai avuto la tentazione di ribaltare la sua? «Ogni tanto l’ho pensato, ma non credo che riuscirei ad andare fino in fondo. Recito e non so cos’altro potrei fare. Non ho molta scelta...un attore molla tutto quando gli altri smettono di interessarsi a lui. Se succederà vedremo». Che rapporto ha con le bugie? «Il mio mestiere è finzione, l’attore diventa un’altra persona e sullo schermo non porta mai sé stesso». Perché ha interpretato Sundown? «Prima delle sceneggiature, scelgo le persone. Ho detto sì perché dietro la cinepresa c’era Michel Franco con cui avevo già girato Chronic nel ruolo di un infermiere addetto ai malati terminali. Quando ci siamo messi a ragionare sull’idea di lavorare nuovamente insieme, è saltata fuori questa storia ambientata ad Acapulco dove James andava da bambino». Lei c’era mai stato? «No e ne avevo l’idea che ne hanno un po’ tutti: un luogo di privilegi legato a Dean Martin e Frank Sinatra. Poi, durante le riprese, ho scoperto una realtà diversa dominata dal contrasto violento tra ricchi e poveri. Acapulco è una città corrotta, militarizzata eppure ricca di vibrazioni. Per me, inglese, si è trattato di un’esperienza dura, sconsolante, a tratti surreale ma bellissima». È stato frustrante interpretare un personaggio che parla pochissimo e si esprime attraverso le sue azioni? «No, anzi mi sono divertito. Lasciare tutta la responsabilità alla macchina da presa è un modo di fare cinema all’antica, ma mi piace: è un atto di fiducia inusuale nei confronti del pubblico che può farsi un’idea della storia senza l’aiuto dei dialoghi o della musica». Il suo personaggio in Sundown è affascinante perché misterioso. E nella sua vita c’è un mistero? «La fortuna che ho avuto. Non ho mai capito perché mi è andata così bene. Sarà dipeso dagli incontri». Il più importante? «La mia professoressa di liceo. Si chiama Jill Walker e un giorno entrò nella nostra classe proponendoci di partecipare a un provino teatrale per un musical su Dracula. Avevo 16 anni, le diedi retta e venni stregato dalla recitazione. Jill mi ha insegnato dove guardare e ha cambiato la mia vita: poco dopo quella prima esperienza lasciai la scuola e iniziai a lavorare in teatro, cinema, tv. La sento ancora, l’ho chiamata mezz’ora fa». È vero che non vede mai i film che gira? «Proprio così. Preferisco lasciare il compito al pubblico». Nel 1999 ha diretto il film Zona di guerra, storia di un incesto dal romanzo-scandalo di Alexander Stuart. Tornerà dietro la cinepresa? «No, una volta è bastata. Sono un attore, non un regista». Cosa ricorda del film La leggenda del Pianista sull’Oceano? «Dovetti imparare a suonare il piano e un giorno Ennio Morricone venne a sentirmi suonare sul set: scoppiò a piangere dall’emozione e mi chiamò maestro». La vedremo nuovamente nel ruolo di Abominio nella serie Marvel She-Hulk: cosa trova in quel mondo di mostri? «Un gran divertimento. La prima volta ho girato la serie per far contenti i miei figli e quando i produttori mi hanno chiesto di tornare non ho esitato». Come sceglie i suoi ruoli? «Sono i ruoli a scegliere me. L’unico piano che ho è non avere piani».