La Stampa, 16 aprile 2022
Ritratto di Jack Nicholson
Quando diede alle stampe Qualcuno volò sul nido del cuculo, Ken Kesey non si aspettava neanche lontanamente che potesse diventare un romanzo di culto, né un film celeberrimo da cui poi prese le distanze, al punto da non volerlo neanche vedere. La coincidenza dei 60 anni della pubblicazione del libro con l’85° compleanno di Jack Nicholson, indimenticabile interprete del film per cui ottenne il primo Oscar, ci inducono a ricordare l’avventurosa genesi delle due opere. Nativo di La Junta, in Colorado, Kesey si definiva «troppo giovane per essere un beatnik, ma troppo vecchio per essere un hippie». Amava la magia e il cinema, e riteneva che la scrittura potesse essere un formidabile strumento per decifrare il mistero dell’esistenza. Dopo essersi laureato in giornalismo all’Università dell’Oregon, si iscrisse nel 1959 anche a Stanford, dove si sottopose, come volontario, a uno studio sulle sostanze psicoattive finanziato dalla CIA. La ricerca prevedeva che assumesse LSD, mescalina, cocaina e altre sostanze stupefacenti, e Kesey, una volta terminato l’esperimento, continuò ad assumere droghe e cominciò a organizzare a casa party psichedelici che divennero l’oggetto di The Electric Kool-Aid Acid Test di Tom Wolfe. Oltre a questa esperienza, Qualcuno volò sul nido del cuculo risente dell’attività di volontario nell’ospedale dei veterani di Menlo Park, dove si convinse che i pazienti non fossero pazzi ma «individui rifiutati dalla società perché non conformi agli stereotipi convenzionali di comportamento e pensiero».
Kesey credeva come Chesterton che «pazzo è chi ha perso tutto fuorché la ragione», e si cimentò in avventure rocambolesche come la fuga in Messico nel bagagliaio di una macchina dopo aver finto il suicidio per evitare l’arresto per possesso di marijuana. Nel frattempo i diritti del romanzo vennero acquistati da Kirk Douglas che si innamorò del personaggio del protagonista R.P. McMurphy, ribelle e anticonformista e individuò in Milos Forman il perfetto regista. Mise in scena una versione teatrale, e affidò a Gene Wilder il ruolo di Billy Bibbit, ma lo spettacolo non ebbe successo e il progetto cinematografico venne accantonato finché l’attore, dieci anni dopo, ne parlò al figlio Michael, che scoprì che la censura cecoslovacca aveva sequestrato la copia del libro mandata a Forman da Kirk. Nel frattempo il regista si era trasferito negli Stati Uniti, e, letto finalmente il libro, si entusiasmò immediatamente, individuando nell’ospedale psichiatrico una metafora del regime comunista sotto il quale aveva vissuto: trovava in particolare illuminante il personaggio della capo Infermiera Mildred Ratched, gelido nume tutelare di regole ottuse e liberticide.
Rimaneva tuttavia un grande problema: come dire a Kirk Douglas che ormai era troppo anziano per interpretare McMurphy. Esistono due versioni relative a questa vicenda: nella prima padre e figlio non si rivolsero la parola per più di un anno, nella seconda Kirk diede con entusiasmo la sua benedizione e indicò come protagonista l’emergente Jack Nicholson – reduce dal successo di Easy Rider con peter Fonda e di Chinatown di Roman Polanski – al posto di Marlon Brando e Gene Hackman, candidati fino a quel momento per il ruolo. Il secondo ostacolo fu convincere Kesey che la sceneggiatura, a firma di Bo Goldman e Lawreence Hauben, avrebbe rinunciato al punto di vista di Chef Bromden, come avviene invece nel romanzo: lo scrittore la prese malissimo e protestò anche per il compenso di 20.000 dollari per i diritti, pattuito quando non credeva al successo del libro. Forman scritturò un cast di comprimari eccellenti tra cui svettano Danny De Vito, Brad Dourif, Vincent Schiavelli e Christopher Lloyd che recitarono insieme ad autentici malati di mente, ripresi spesso senza che se ne accorgessero. Fu molto difficile invece trovare l’interprete per Mildred Ratched: Louise Fletcher, che finì per vincere l’Oscar, venne scritturata a una settimana dall’inizio delle riprese, dopo il rifiuto di Ellen Burstyn, Anne Bancroft, Tippi Hedren, Faye Dunaway, Jeanne Moreau, Angela Landsbury, Colleen Dewhust e Geraldine Page, tutte preoccupate di interpretare un ruolo così odioso. Il film trionfò sia al botteghino che agli Oscar, e oltre a Nicholson e Fletcher, vinsero Forman, gli sceneggiatori e i produttori per la categoria miglior film. Per Nicholson fu il suggello su una carriera inimitabile, che gli avrebbe portato altri due Oscar, nell’84 come non protagonista in Voglia di tenerezza e nel ’98 per Qualcosa è cambiato. E che avrebbe rivelato la sua vena di geniale follia, con cui rese grande nell’80 Shining di Stanley Kubrik.
A rivederlo oggi, non ha perso nulla della sua forza e ha molte sequenze indimenticabili, come quella in cui improvvisa la telecronaca di una partita di baseball dopo che Mildred Ratched ha negato il permesso di vederla in televisione appellandosi a regole ottuse, secondo la tradizione di quei regimi, per cui le norme sono obbligatorie per i nemici mentre si interpretano con gli amici. In quell’entusiasmante telecronaca immaginaria c’è tutta la sete di libertà di chi ne è privato, ed è a causa dell’esperienza personale di Forman se nel film quell’anelito ha un impatto più potente di quanto avvenga nel libro. C’è solo un dettaglio, non marginale, che suscita turbamento: uno dei crimini per cui il protagonista è stato rinchiuso è l’abuso sessuale nei confronti di una minorenne. Una simile premessa finirebbe oggi certamente per annullarne il carisma eroico e la voglia di emulazione.