La Stampa, 16 aprile 2022
Alessandro Borghese e la paga. Polemiche
Ogni stagione ha i suoi ritornelli, quest’anno per il mondo della ristorazione c’è quello della carenza di personale. L’ultima strofa l’ha cantata Alessandro Borghese. Lo chef della tv oltre a denunciare le difficoltà legate alla ricerca di camerieri e personale di cucina ha aggiunto: «Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con soli vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendio. Oggi ci sono ragazzetti senza arte né parte che di investire su se stessi non hanno la benché minima intenzione. Manca la devozione al lavoro».
Parole divisive. Perché c’è chi pensa esattamente il contrario: sono gli orari massacranti e i compensi bassi o inesistenti ad aver causato la cronica mancanza di personale anzi ad aver allontanato i migliori dalle cucine. L’urlo di Borghese alla fine appare stonato e quasi fuori luogo anche se parte da un problema reale. La ristorazione italiana è tornata a un ruolo di eccellenza planetaria grazie a chef come Massimo Bottura, probabilmente il migliore al mondo nel valorizzare i talenti. Molti ristoranti di casa nostra però devono imparare dall’estero alla voce rispetto, come l’Italia ha da imparare, e tanto, sulla formazione e sul sostegno alla categoria. Ed è tutto connesso alla carenza di personale.
Andrea Larossa, stellato di successo a Torino puntualizza un elemento fondamentale: «Il lavoro va pagato e il giusto. Ma da noi arrivano persone non formate e quindi andrebbero retribuite per quello che possono dare davvero. Ma non tutti lo accettano. Abbiamo un problema di formazione e di mordente. Nel nostro lavoro servono passione e sacrificio e non sempre si trovano ma Borghese poteva risparmiarsi la polemica perché gli eccessi rendono sterile anche le parole più costruttive».
All’estero nell’alta ristorazione crescono i ristoranti aperti solo 4 giorni a settimana. Al Geranium di Copenaghen, secondo miglior ristorante al mondo, vengono pagati corsi per migliorare la preparazione del personale. Dai fratelli Roca in Spagna, altra grande tavola internazionale, vengono organizzate sedute di team building e sta nascendo un asilo aziendale. Sono piccoli dettagli, forse eccezionali, capaci però di indicare che si sta lavorando al miglioramento delle condizioni. Perché per avere personale capace e fedele bisogna valorizzarlo e metterlo nelle condizioni di dare il meglio. Altrimenti se ne va. Una regola base in qualunque lavoro ma soprattutto nella ristorazione. Leonardo Perisse, un giovane chef capace di costruirsi una solida e remunerata posizione come cuoco a domicilio, racconta: «Adoro cucinare ma ho promesso a me stesso di non farlo mai più in un ristorante. Pretendono troppo e in cambio danno troppo poco. Anche da un punto di vista umano». Casi isolati forse, ma pure segnali che rendono stonate le parole di Borghese. Cristina Bowerman, chef stellata a Roma, è in prima fila su diritti e lavoro: «Borghese ha usato parole superficiali. Però è evidente che serve un nuovo modello altrimenti ci perdiamo tutti».
Per molti il nodo è stata la pandemia. Il rallentamento dovuto alle chiusure del Covid. Assaporare ritmi diversi e una qualità della vita più intensa ha cambiato le priorità e ora per lavorare come prima servono giusti compensi e una prospettiva. Nel mondo della ristorazione con i suoi orari massacranti e senza festività ancora di più. Matteo Baronetto, chef al «Del Cambio» di Torino non ha dubbi: «In Italia serve velocemente una svolta, se non arriverà ci sarà un grosso impoverimento dei servizi e della qualità penalizzando un comparto indispensabile per il nostro Paese e per il suo sviluppo turistico. Il problema è strutturale. La politica concretizzi un piano di sviluppo, serve un tavolo con il governo e i rappresentanti dei settori della ristorazione e dell’horeca, quelli che lavorano e non sono lontani dalla realtà».
Già la realtà. Perché nella ristorazione di oggi stanno arrivando tutti quei ragazzi che si sono iscritti all’Alberghiero per «merito» di Masterchef. Hanno attraversato anni di scuola con poca pratica e quando arrivano in un ristorante scoprono che servono umiltà e fatica. E a volte non bastano. Vanno aiutati, anche a cambiare strada, e formati perché senza forze fresche la ristorazione italiana rischia la paralisi. Ma se il punto di partenza è non pagarli, allora non ci resta che sperare nei robot.