Guardando il film, la sensazione è che si sia mosso con libertà, la voglia di ridere dei ragazzini. È sempre stato così? O invece l’entusiasmo era calato e ora è tornato?
«La seconda che ha detto. Ho avuto anni più faticosi e ora ho ripreso a divertirmi, a buttarmi nelle cose con meno puzza sotto il naso. Mi diverto a realizzare lavori miei, ma anche a fare l’attore in progetti di altri. È un bel mestiere».
Nella sua bio su Wikipedia si legge più volte “genio della comicità”.
«La parola genio si usa con troppa disinvoltura. Quando devi parlare di Einstein che dici? Mi fa ridere ancor di più quando mi chiamano maestro.
È un appellativo che si dà, di solito, ai vecchi e non mi sento ancora così».
La venerazione dei fan è diventata un ostacolo?
«Forse sì. Considero una parte del mio lavoro fatta in gioventù molto bella, la guardo con piacere ma senza nostalgia. La considero conclusa.
Con la rete succede, e mi fa piacere, che i giovani ti scoprano. Vuol dire che alcune cose sono ancora vive e vengono rievocate. A volte viene voglia di riprenderle, magari a teatro, ma oggi sono attratto da cose diverse. Per anni ho fatto solo quelle, mi sono privato di occasioni in cui provarci, concentrato soltanto sulla mia produzione. Ho fatto quasi zero cinema e altre esperienze che adesso mi sembrano importanti».
Già nel 1998 scrisse il copione di “Millenovecentonovantadieci”. Non diventò un film.
«Come fa a saperlo? Era un road movie strano, l’inseguimento di una rockstar italiana in fuga, pensavo a Loche. Non se ne è fatto nulla».
“Fascisti su Marte” fu a Venezia.
«All’epoca non fu un gran successo, è stato riscoperto con le piattaforme, oggi si capisce anche di più. Nasceva come una microserie rimasta a metà che finimmo nel 2003, girando la domenica, in amicizia, nelle cave, con i vestiti pesanti. Alla Mostra portammo un work in progress».
Le serie le guarda? Narcos?
«Non ho nessun fascino per il crimine e i criminali. Ho iniziato Gomorra , scritta e girata meravigliosamente, ma mi rifiuto di entrare nei personaggi. L’impulso è dire: “Chiamate la polizia, arrestiamoli».
Lei ne prepara una.
«Sì, scrivo una serie comica. Poi vorrei girare un film da regista e ho diversi romanzi mollati che spero vedano la luce prima di rimbecillire del tutto. Raccolgo materiali titanici, con idee, battute, pezzi di canzoni, note tipo “ricorda il detersivo”. Ogni tanto faccio le pulizie pasquali».
Scrivendo ride?
«Sì, sono il primo spettatore delle mie cose. Poi non amo rivedermi. Quando vanno in onda i miei lavori, li evito».
Non ha visto Lol?
«No, anche se mi hanno mandato tanti pezzetti. Un giorno con una bottiglia di vino me lo vedo tutto. Mi dicono di cose che non ricordo di aver detto e fatto. È una maratona pazzesca, c’è una parte su cui non hai controllo».
È virale l’aggiornamento di “Grande raccordo anulare”. Qual è la genesi della canzone?
«C’è stato un periodo in cui ho abitato alla periferia di Roma, per due anni.
Tutti i giorni facevo il Grande raccordo anulare, ricordo che cominciai a cantare le uscite, in macchina, un gioco con me stesso per passare il tempo. È buffo che ciò che rimane di te e che ricordano tutti è spesso la realizzazione meno pensata. Gli ‘mbuti di Vulvia non ricordo nemmeno come vennero».
Venditti come la prese?
«All’inizio un po’ preoccupato, poi ha iniziato a divertirsi e nel 2002 mi ha invitato a cantarla insieme sul palco.
La cosa buffa è che oggi è su Spotify: la canzone è attribuita a lui, e non saprei con chi protestare».
Com’è stato girare la nuova stagione di “Boris”, un omaggio all’autore Mattia Torre.
«Mattia e gli altri non ci pensavano a fare Boris 4 . Dopo la sua morte, e grazie al fatto che durante la pandemia molti hanno scoperto la serie pensando fosse nuova, siamo tornati. Eravamo spaventati, ma è stato divertente, nostalgico e commovente ritrovarci insieme in un contesto cambiato. Borissatireggiava le fiction di Rai 1 e Canale 5, un mondo che si va estinguendo. Questo sarà diverso dal vecchio Boris , maa noi ha fatto ridere».
Cosa le ha fatto tornare il sorriso?
«Non lo avevo perso. La mia partecipazione a Lol dipende dall’aver trascorso due anni chiuso in casa con la pandemia. Ho avuto lo stesso stimolo per cui la gente ora riempie i teatri».
Ha detto che si era pentito di aver accettato, ora è contento.
«Ho fatto onestamente una follia, immagino apposta. Sono contento di questo atto auto-eversivo che solo gli altri schizofrenici possono capire».
Come cambia la comicità oggi?
«La comicità è un linguaggio in evoluzione. Da un lato con le piattaforme ai giovani sono arrivati comici e umorismo, penso a Ricky Gervais che prima frequentavano solo i nerd come me. Dall’altro i social sono anche palestra di umorismo».
Il politicamente corretto?
«L’eccesso di oggi può condurre soltanto alla catastrofe. Ma il comico, come un magistrato, si deve auto regolamentare. Quante volte ci capita di fare a una cena una battuta che ci sembra esilarante e poi il giorno dopo a casa, “Oddio ma cosa ho detto?”. Il comico deve essere libero, ma le offese crudeli non fanno ridere. Ci sono comici, anche americani, più attratti dal dire cose forti che colpiscano il pubblico, più che farlo ridere».