Corriere della Sera, 16 aprile 2022
Cinquemila euro di multa per una pipì
Cinquemila euro di sanzione amministrativa minima per aver fatto la pipì nel parcheggio della discoteca, e invece ad esempio appena 309 euro per ben più rilevanti atti osceni in luogo pubblico, o 845 euro per aver corso come un pazzo in auto superando di ben 60 km all’ora il limite di velocità? Va bene che «al legislatore deve riconoscersi un ampio margine di discrezionalità nell’individuare la misura della sanzione appropriata», ma «una tale discrezionalità non può sconfinare nella manifesta irragionevolezza e nell’arbitrio, come nei casi in cui la scelta sanzionatoria risulti macroscopicamente incoerente»: altrimenti va affermata «l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito». Tratta di un caso quasi trascurabile, ma riflette in realtà su un tema enorme come proporzionalità della pena e limiti alla discrezionalità del legislatore, la sentenza con cui la Consulta dichiara incostituzionale la norma che dal 2016 alzava la punibilità degli «atti contrari alla pubblica decenza» con una sanzione da 5.000 a 10.000 euro. L’interessato, «per mera leggerezza, colto da un impellente bisogno di orinare», era stato «sorpreso ad orinare in luogo pubblico all’interno del parcheggio della discoteca» a Sondrio. Non è il massimo dell’eleganza, ma non c’è paragone – osserva la Consulta – ad esempio con quel particolare tipo di atti contrari alla pubblica decenza che sono invece gli «atti osceni» connotati da aspetti sessuali, «i quali sono spesso percepiti dalla persona che ne sia involontariamente spettatrice come atti aggressivi, idonei a ingenerarle il comprensibile timore di atti violenti», e che tuttavia in confronto hanno una sanzione appena da 51 a 309 euro. E una «tale disparità sanzionatoria non può non ingenerare, in chi risulti colpito da una sanzione così severa, il sentimento di aver subito un’ingiustizia».