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 2022  aprile 17 Domenica calendario

La Via Lattea è più vecchia: ha 13 miliardi di anni

Un lavoro da archeologi stellari. Dagli «scavi» cosmici è emerso un antichissimo gruppo di stelle dal quale poi si è formata la nostra galassia – la Via Lattea. La sua esistenza ha portato a una scoperta che riscrive la storia e soprattutto le origini dell’immane isola astrale portandole indietro nel tempo di due miliardi di anni. Il risultato ci riguarda da vicino perché abitiamo su questa stranissima isola con bracci che si protendono a spirale nello spazio. Il nostro sistema solare con la Terra è collocato a metà strada tra il nucleo e la periferia, immerso in una sterminata popolazione di stelle – oltre cento miliardi: un conto preciso è ancora difficile. E tutto è in movimento, in una rotazione perenne. Il Sole e il suo corteo planetario sfrecciano alla velocità di 850 mila chilometri orari e impiegano 200 milioni di anni per compiere un giro completo attorno al cuore galattico Sagittarius-A* dove si nasconde un buco nero. Inoltre la splendida isola, attratta da un ammasso di galassie, si muove nella sua direzione raggiungendo i 2 milioni di chilometri orari. Con quale destino?

Per conoscerlo bisogna partire da uno studio preciso delle sue caratteristiche che inevitabilmente ne condizionano l’evoluzione. Con questo obiettivo ricercatori del Max-Planck Institute for Astronomy di Heidelberg (Maosheng Xiang e Hans-Walter Rix) hanno analizzato un gruppo di stelle subgiganti mentre si trasforma, nell’arco di milioni di anni, in giganti rosse; primo passo della morte di un astro. Lo hanno descritto sulla rivista scientifica «Nature»: grazie alla misurazione della loro metallicità – cioè la presenza di metalli che poi sono disseminati nel cosmo quando l’astro muore e incorporati in altre stelle – sono riusciti a stimarne anche l’età. Gli astri più vecchi contengono meno metalli e per questo le stelle subgiganti funzionano come un orologio di notevole precisione per datare i corpi della galassia.
L’impresa non è semplice, ma grazie ai dati raccolti dal satellite Gaia, lanciato dall’agenzia spaziale europea Esa a fine 2013, l’indagine s’è dimostrata possibile. Gaia, infatti, rileva la luminosità, la posizione e la distanza di un astro. Scrutando 250 mila stelle subgiganti e aggiungendo le informazioni ottenute con il telescopio Lamost sulla composizione chimica, è emerso un quadro diverso.
Questi astri facevano parte del primo gruppo originario della galassia e la loro nascita risale a soli 800 milioni di anni dopo il Big Bang, il grande «scoppio» da cui è emerso l’universo. Quindi rappresentano i primi «mattoni» formati 13 miliardi di anni fa; una data ora stimata con precisione grazie alla sensibilità di Gaia. Prima le incertezze oscillavano tra il 20 e il 40 per cento: poco utili scientificamente, perché tradotte in termini temporali significava oltre un miliardo di anni di differenza. 

«Le teorie che spiegano la formazione della Via Lattea sono diverse – precisa Gisella Clementini dell’Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio dell’Istituto nazionale di astrofisica di Bologna, impegnata nell’elaborazione dei dati immagazzinati con Gaia —. Dopo la costituzione della prima struttura con gli oggetti appena individuati, il successivo passo importante avvenne 10 miliardi di anni fa, quando la galassia nana Enceladus si scontrò con la nostra aumentando la popolazione stellare e favorendo la formazione di nuove stelle. Nell’impatto gran parte venne imprigionata, mentre altro materiale attraversò gli spazi dell’isola e ora ne vediamo i resti nel circondario». Le prove dello scontro erano già state scovate da Gaia nel 2018. «Il dettaglio di comprensione che fornisce questo osservatorio spaziale – nota Clementini – cambia i modelli teorici che abbiamo ideato finora. Riusciamo a descrivere con maggiore precisione natura e caratteristiche della galassia, i passi dell’evoluzione passata e quelli ipotizzabili nel futuro». Un altro contributo alla crescita della nostra isola stellare viene dalle Nubi di Magellano, che sono già passate vicinissime e continuano a interagire con essa attraverso una scia di gas. «La maggior parte delle galassie – aggiunge la scienziata – è il frutto di eventi catastrofici di questo genere e testimonia la violenza dell’universo. Il panorama per la Via Lattea s’è chiarito, appunto, con Gaia, l’unico telescopio oggi in orbita in grado di compiere misurazioni di posizione, distanza, luminosità e composizione chimica. Nel prossimo mese di giugno sarà completata una nuova fase di elaborazione dei dati che riguardano 1,8 miliardi di stelle; un record dal quale emergeranno altre sorprese». 

La storia continua nella sua dimensione sempre violenta. È già tracciata la traiettoria che porterà la nostra isola stellare verso la collisione con Andromeda, l’altra grande galassia del nostro vicinato, anch’essa prodotto di due immani impatti e ispiratrice di grandi opere di fantascienza – da Ivan Efremov a Fred Hoyle a Michael Crichton. Secondo uno studio recente, condiviso da altre ricerche e pubblicato nel 2020 sulla rivista «Astronomy & Astrophysics», l’inizio della fusione avverrà fra quattro miliardi di anni e si completerà sei miliardi di anni dopo. Ma a quel punto il Sole sarà già spento e la Terra senza vita.
Un ultimo tassello nel puzzle degli enigmi delle prime epoche della Via Lattea è stato appena colto dal telescopio spaziale Hubble: ha identificato Erendel, la stella più lontana avvistata, che oggi non esiste più. Si era formata all’alba dell’universo – 12,9 miliardi di anni fa. Cinquanta volte più grande del nostro Sole, milioni di volte più brillante, probabilmente composta soprattutto da elementi leggeri come idrogeno ed elio, s’è consumata rapidamente nell’arco di milioni di anni. La sua luce, tuttavia, che ha impiegato miliardi di anni per giungere fino a noi, ci regala lo spettacolo di una fiamma cosmica ancora accesa, ricca di informazioni.