La Lettura, 17 aprile 2022
Il murale che si mangia lo smog
Natura in fabula. Attinge alla tradizione dei libri illustrati per bambini, ibridati con l’immaginario macrocefalo dei manga giapponesi, Nouch, all’anagrafe Nouchka Huijg, un’artista olandese che il 22 aprile, Giornata mondiale della Terra, inaugurerà il suo intervento site specific su un muro esterno della facoltà di Ingegneria dell’università di Palermo. Il progetto a cura di Chiara Graziani, promosso dall’ateneo siciliano in collaborazione con l’ambasciata olandese e l’associazione Female Cut, sposa il tema ambientalista integrandone i capisaldi nella tecnica di realizzazione dell’opera. I pigmenti utilizzati, che nell’estetica riduzionista sono un peana al less is more (meno è meglio), fungono non soltanto da manifesto visivo ma anche da spazzini anti smog: il nero (air ink), prodotto in India, contiene particelle di fuliggine prelevate dall’atmosfera, mentre il bianco (airlite) pulisce l’aria trasformando gli agenti inquinanti in innocui sali minerali. Un metro quadrato di pittura in grado di assorbire le polveri sottili equivale a un metro quadrato di riforestazione. Dal processo pittorico all’iconografia, la sensibilizzazione al rispetto dell’ambiente si riflette nel disegno che campeggia sulla parete cieca dell’edificio, accanto all’aula studio dove si ritrovano i laureandi.
Nouch ha scelto una delle sue airheads (letteralmente, teste vuote) che simboleggiano la scarsa consapevolezza nei confronti dell’ecosistema: «Cercavo immagini metaforiche per esprimere gli automatismi mentali che spesso ci condizionano, spingendoci a replicare comportamenti sbagliati senza riflettere, per pura assuefazione – racconta l’autrice –. Pensavo a come attirare l’attenzione e mi sono ispirata alle figure che piacciono ai bambini, con teste e occhi più grandi del normale, come nei fumetti».
Il murale mima la conformazione del cervello umano, se non fosse che all’interno della campitura si affastellano volti ingigantiti di conigli, alcuni dallo sguardo vitreo altri dal ghigno beffardo: «Gli animali rappresentano le molte sfaccettature della nostra personalità, in questo caso un mondo sovraffollato e un cervello bombardato dalla miriade di informazioni che ci stordiscono». Un po’ Orwell, un po’ Dürer, tra gli artisti che preferisce per la minuzia lenticolare, il sorprendente naturalismo e l’abilità nella tecnica dell’incisione.
L’idea di utilizzare il proprio corpo, issato su un cestello elevatore a tu per tu con l’architettura, è il punto di approdo di un percorso che, da bambina, la vede sfogliare libri per l’infanzia: «Mia madre mi portava in biblioteca; restavo ammaliata dalle pagine, pensavo che da grande avrei voluto fare l’illustratrice». Inizia a disegnare e il rapporto tattile, millimetrico, con la carta diventa il suo «nascondiglio» quando i genitori si separano. Il sogno è iscriversi all’accademia, ma il padre la dissuade temendo che l’arte non le assicuri un lavoro stabile: «Ho studiato per diventare insegnante, ma ho deciso di seguire la mia strada». I primi esperimenti sono gli orphan drawings, disegni abbandonati nei caffè di Amsterdam nella speranza che qualcuno li adotti: «Giravo con una scorta di album pieni di schizzi, ma ero consapevole che nessuno li avrebbe visti, così ho iniziato a lasciarli nei locali e molti proprietari li hanno appesi alle pareti. Prima del Covid le persone mi scrivevano entusiaste sui social... È una ricerca che voglio ampliare».
Dal formato foglio alla dimensione urbana, complice un programma cittadino per la riqualificazione delle strade: «Quando ho capito che volevo confrontarmi con una scala più ampia e mettere in gioco tutta me stessa, ho chiesto agli organizzatori se potevano darmi uno spazio. Non volevo che i cittadini percepissero una forzatura o che il murale li disturbasse: li ho coinvolti nel progetto e mi piacerebbe ricreare la stessa condivisione con la comunità universitaria di Palermo». La possibilità di utilizzare l’arte come strumento di sensibilizzazione la fa sentire meglio del semplice civismo politically correct: «Cerco di non limitarmi a differenziare i rifiuti o a ridurre gli sprechi, attraverso il mio lavoro vorrei contribuire a diffondere la conoscenza di materiali a impatto zero che suscitano interesse anche nel mondo della moda».
Concentrata sui piccoli gesti in grado di fare la differenza («credo che la cosa più importante sia essere gentili»), salvo ritagliarsi momenti di meditazione attiva durante i quali l’anima è libera di fluttuare come un palloncino: «Fin da bambina sognavo di volare su una mongolfiera e ammirare il paesaggio da lassù. Mi piace quella sensazione di galleggiamento... la ritrovo quando siedo in un caffè, ascolto le voci e disegno». Dopo lo choc della pandemia, della quale ricorda lo straniamento della città deserta e silenziosa, in questi giorni di guerra avverte la responsabilità «di portare più gioia e amore, di realizzare qualcosa di cui le persone possano godere nel tempo presente».