La Stampa, 17 aprile 2022
«Lo stesso nome Ucraina è una vergogna»
Lo stesso nome di ucraini è una vergogna, un insulto per un popolo che è russo». Il talk show di Vladimir Solovyov apre un nuovo capitolo nella propaganda russa, e stabilisce, per bocca di un ospite particolarmente infervorato, che l’accusa di genocidio del popolo ucraino lanciata a Vladimir Putin da Joe Biden è «un’idea geniale, perché se si tratta di cancellare l’idea stessa di poter essere ucraini, sono d’accordo, l’idea dell’ucrainità va cancellata, dall’inizio alla fine, sono cento anni che avvelena la vita dei popoli slavi». Gli altri ospiti ascoltano e annuiscono, qualcuno chiede se con ciò l’Ucraina deve essere definitivamente disconosciuta come Stato sovrano, ma è chiaramente poco aggiornato rispetto alle ultime direttive. In studio infatti è presente la capa della propaganda del Cremlino Margarita Simonyan, secondo la quale la guerra in Ucraina non è un genocidio, anzi, non è nemmeno una guerra, perché il giorno che lo diventa «per prima cosa si fa a pezzi Kiev, in polvere, a pezzettini». Dello stesso avviso è il regista Vladimir Bortko, che con voce stridula invita a vendicare l’incrociatore Moskva affondato da un missile ucraino, invocando nel talk «60 minuti» «una guerra, quella vera, senza stupidaggini, al 100%».I talk-show delle tv di Stato russo vanno presi con cautela: sono un circo mediatico che punta a spaventare ed eccitare il nocciolo duro dell’elettorato putiniano. Ma proprio in quanto arma strategica, vengono monitorati e diretti con attenzione, e il cambiamento del loro tono difficilmente può essere casuale. Pronunciare la parola «genocidio» in un contesto positivo di «cancellazione dell’idea ucraina» è un traguardo di ferocia finora mai sfiorato, ma già qualche giorno fa l’idea che «l’ucrainità radicata è un unico grande fake, non è mai esistita» è stata teorizzata molto più in alto, dall’ex presidente e premier Dmitry Medvedev, che ha completato la sua trasformazione da colomba del regime in uno dei suoi sostenitori più sfacciati. L’obiettivo della «operazione militare speciale» russa, secondo lui, è «cambiare la mentalità sanguinaria e piena di miti falsi di una parte degli ucraini», e aggiunge che «l’Ucraina farà la stessa fine del Terzo Reich nel quale è stata trasformata». E prima era stata la stessa Simonyan – che di solito ha il compito di annunciare al pubblico le svolte del pensiero dei falchi del Cremlino – a lamentarsi in un’intervista che il problema non erano solo i vertici di Kiev, ma anche «una parte considerevole degli ucraini è sprofondata nella follia nazista».Un delirio propagandistico – il «nazismo» associato al «liberalismo occidentale» che si propone di «sterminare i russi» – che però mostra una svolta pericolosa: da una guerra per «salvare i fratelli ucraini» dalle grinfie degli Usa e dell’Ue si passa alla teoria della profonda corruzione degli ucraini medesimi, non più «piccoli russi» da riabbracciare, ma un popolo inesistente da «cancellare». Il politologo liberale Konstantin Skorkin sostiene che una certa cultura russa ritiene «estremismo nazionalista» l’idea stessa che gli ucraini possano essere un popolo distinto, meno che mai una nazione indipendente. Ma il cambiamento del paradigma, da «guerra di liberazione dei fratelli» a «guerra per sterminare i nazionalisti», teorizzata ora dal ministro degli Esteri Sergey Lavrov, è un’indicazione che le truppe sul terreno hanno già fatta propria, come si vede dai massacri di civili. «Ovviamente, dopo essersi scontrati con la coraggiosa resistenza degli ucraini, non rimaneva che accusarli del fallimento, e sostenere che fossero profondamente infetti dal nazismo», scrive il sociologo russo Greg Yudin.Una teoria che non si limita agli schermi televisivi, ma diventa progetto politico, non solo a Bucha e Mariupol. Da Kherson, unico capoluogo regionale ucraino in mano ai russi, arrivano notizie dei preparativi per un «referendum» per creare una «repubblica popolare» da annettere alla Russia, senza nemmeno la parvenza dell’indipendenza. Si dovrebbe tenere dal 1 al 9 maggio, la data fatidica dell’anniversario della vittoria su Hitler, entro la quale Putin vuole regalare ai suoi sudditi una conquista, seppure ridimensionata rispetto ai piani iniziali di espansione del «mondo russo», il Lebensraum putiniano. «Un’idea vuota, senza alcuna prospettiva di sviluppo culturale», commenta Yudin, che osserva come la Russia «abbia abbandonato un concetto molto semplice, che un popolo non si conquista con i cannoni». —