Corriere della Sera, 17 aprile 2022
Il caso Palermo spacca il centro-destra (alleanza Lega-Fi contro la Meloni)
OMA Agli infaticabili gestori delle trattative per le Amministrative del 12 giugno – Locatelli per la Lega, Gasparri per Forza Italia e Donzelli per Fratelli d’Italia – fino al mattino di un apparentemente tranquillo sabato di Pasqua sembrava che, in fondo, il puzzle delle candidature si stesse mettendo nel verso giusto. Perché in almeno 20 dei 26 Comuni capoluogo chiamati al voto l’accordo era fatto, e per 4 ancora aperti – Verona, Parma, Oristano e Catanzaro – c’era la concreta speranza di chiudere un’intesa. Il tutto al netto del «caso Sicilia», visto che le città al voto, Palermo e Messina, difficilmente possono essere scisse dalla candidatura per le Regionali, che nell’isola si terranno in autunno, e che vedono un braccio di ferro tra gli azzurri che fanno capo a Micciché, che pretendono un nome diverso dall’uscente Musumeci, e la Meloni e i suoi che insistono per la riconferma.
Ma ieri pomeriggio, all’improvviso, il colpo di scena. Che ha provocato la furia di FdI e, con una nota ufficiale, la richiesta di un «intervento diretto» di Berlusconi per risolvere il caso. Sì, perché a Palermo, città dove ci sono quasi più candidati che partiti, si è arrivati a un patto tra Lega e FI, con l’annuncio dei vertici regionali di un ticket tra l’azzurro Francesco Cascio e come vice il leghista Francesco Scoma, che finora era pronto a correre da solo, come Francesco Lagalla per l’Udc e Carolina Varchi per FdI.
In realtà, il ticket è durato poco: Scoma si è sfilato subito, pur assicurando il suo appoggio a Cascio, lasciando a mani vuote il coordinatore siciliano leghista Minardo, che si sussurra aspiri alla presidenza della Regione e abbia quindi siglato una sorta di patto con Micciché. Il tutto mentre Lagalla ha confermato la sua candidatura e Davide Faraone, che era pronto a presentarsi per Italia viva, ha annunciato il suo «passo laterale» e l’appoggio a Lagalla per un polo centrista.
Ma soprattutto l’intesa è sembrata uno schiaffo al partito di Giorgia Meloni e ha provocato una reazione durissima. FdI denuncia «l’enorme confusione» siciliana che «come molti altri segnali» testimoniano «più la volontà di danneggiare» il partito che «quella di combattere le sinistre». Ma «preoccupa» soprattutto che «il comportamento di Lega e FI sembra essere finalizzato soprattutto a dividere e indebolire il centrodestra» con l’obiettivo di «proseguire l’alleanza arcobaleno con la sinistra anche dopo le prossime elezioni politiche». FdI invece chiede la conferma di Musumeci e apre, disponibile a cercare «con tutto il centrodestra se ancora tale si considera» candidati comuni a Palermo e Messina «prima di arrendersi e prendere ciascuno le proprie decisioni». E la conclusione: «Non ci resta che auspicare un intervento diretto di Silvio Berlusconi che, complice la Pasqua, non siamo certi sia stato reso partecipe delle ultime scelte del partito siciliano». Non Salvini, nemmeno chiamato in causa.
Chiaro che uno scontro di tale portata potrebbe avere un effetto bomba sulle alleanze, anche altrove. Soprattutto dove non c’è accordo, a Verona, Parma e Catanzaro, oltre ad Oristano. Nella città veneta, la Lega ha confermato l’appoggio all’uscente Sboarina, di FdI, FI ancora no, in attesa di avere un segnale, magari da Zaia al quale si chiede un assessore azzurro in giunta regionale. A Parma invece c’è l’accordo tra Lega e FI per Vignali, FdI deve decidere se aggregarsi, così come a Catanzaro. Ma ormai il tema è nazionale: il centrodestra, ancora una volta, è vicino alla rottura. Urge chiarimento.