la Repubblica, 17 aprile 2022
Si prepara la battaglia della caldaia
Nell’Est dell’Ucraina si sta preparando una spietata “battaglia della caldaia” fra Armata russa e truppe ucraine: se nessuno dovesse prevalere si aprirebbe lo scenario di una guerra d’attrito in Europa, con seri pericoli conseguenti. “Kesselschlacht” è il termine con cui nella teoria militare tedesca si indica una “battaglia della caldaia”, tesa ad obbligare il nemico a infilarsi in una posizione senza scampo, fra la resa o la ritirata attraverso un percorso stretto, vulnerabile agli attacchi. Sebbene il termine nasca dai manuali dell’esercito imperiale tedesco, ad usare questo tipo di manovra sono stati spesso i russi nel corso degli ultimi cento anni: l’esempio più classico è Stalingrado, nel novembre 1942, quando circondarono la Sesta Armata del Terzo Reich, mentre quello più recente risale al 2015 allorché nella battaglia di Debaltseve, sostenuti dalle locali milizie russofone, umiliarono gli ucraini ponendo di fatto fine alla campagna del Donbass iniziata dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Circondare il nemico da tre lati, lasciandogli solo una via di fuga suicida, è l’operazione che i comandanti di Vladimir Putin stanno preparando nel Donbass al fine di accerchiare ed annientare il grosso delle truppe ucraine schierate davanti alle trincee delle unità separatiste filo-russe. E riscattando così i gravi errori compiuti e le pesanti perdite subite nelle prime cinque settimane di conflitto. Le truppe di Mosca che si stanno schierando nel Nord-Est puntano dunque a convergere sugli ucraini da tre direzioni – Sud, Est e Nord – per infliggere in tempo record alle divisioni di Volodymyr Zelensky una sconfitta tale da annientarle, vincendo per ko il conflitto iniziato il 24 febbraio. I satelliti occidentali suggeriscono che Mosca prepara con cura questa offensiva, massiccia e su larga scala – a conferma del perché Putin immagini di dichiarare vittoria il 9 maggio – usando in questi giorni missili ed aerei per colpire depositi e rifornimenti del nemico al fine di ridurre le possibilità di opporre resistenza. La maniera più efficace che hanno gli ucraini per disinnescare la tenaglia della “caldaia” è ostacolare, impedire l’accerchiamento: con micro-sabotaggi contro lo spostamento di truppe, come quelli visti in queste ultime settimane contro le ferrovie in Bielorussia, e lungo le arterie cruciali in Ucraina, fra Kharkiv e Izyum. Oppure, con azioni in grande scala capaci di portare scompiglio nel campo avversario, come avvenuto ad esempio con l’affondamento dell’incrociatore Moskva nel Mar Nero o le incursioni aeree contro i depositi di armi e carburante a Belgorod, dentro i confini russi. Si tratta di una gara contro il tempo: i russi vogliono accerchiare il prima possibile il grosso delle truppe ucraine, che tentano a loro volta di impedirlo con ogni mezzo. Si spiega così anche l’accelerazione dei rifornimenti della Nato per gli ucraini – a cominciare dai tank necessari per affrontare la battaglia di terra ed i droni made in Usa per bersagliare dal cielo i blindati russi – come la decisione del Cremlino di minacciare a chiare lettere gli attacchi diretti ai convogli alleati considerandoli «complicità con il nostro nemico». Resta tuttavia da vedere cosa avverrà quando dalle preparazioni tattiche si passerà allo scontro diretto: le continue simulazioni eseguite su entrambi i fronti non escludono che l’esito della seconda offensiva possa essere uno stallo. Ovvero, l’esercito russo lancia il massiccio attacco ma gli ucraini riescono, con trincee e stratagemmi su un territorio ben conosciuto, ad evitare di subire la tenaglia, determinando una situazione di stallo dove l’invasore non riesce a vincere ma l’aggredito non è in grado di obbligarlo alla ritirata. Da qui lo scenario di una “guerra d’attrito” attorno ad un confine segnato da trincee scavate nella terra dalle opposte parti, come avvenne per l’ultima volta in Europa nel 1915 quando si fronteggiarono in maniera statica e feroce francesi e tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale. Ciò significa l’Ucraina divisa in permanenza da un confine caldo con le sanzioni internazionali alla Russia destinate a rimanere, causando danni gravi al Cremlino. Ecco perché il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, parla di «una guerra che può durare per molte settimane o anni». Con un negoziato paralizzato da ostilità e interessi opposti. Da qui il rischio che per prevalere nella guerra d’attrito Mosca ordini – secondo uno studio del Modern War Institute di West Point, negli Stati Uniti – il ricorso ad armi non convenzionali, chimiche o nucleari tattiche. Nel caso delle armi chimiche il precedente è quello del regime siriano di Bashar Assad, sostenuto a spada tratta da Mosca, che il 21 agosto 2013 ricorse ai gas – probabilmente il nervino – per attaccare due aree del distretto ribelle di Ghouta a Damasco, uccidendo almeno 1.400 civili e iniziando da quel momento la riconquista del Paese. Sul nucleare invece, secondo fonti diplomatiche a Bruxelles, il timore della Nato è che Putin possa scegliere la tattica della “de-escalation” ovvero preannunciare in maniera inequivocabile la decisione di usare un’atomica contro l’Ucraina chiedendo “per non farlo” la resa militare o, ad esempio, il ritiro totale dal Donbass. «Nessuna potenza atomica ha finora mai fatto ricorso a questa tattica nucleare – spiega la fonte diplomatica – ma non possiamo escludere che Mosca giochi questa carta». Aprendo uno scenario drammaticamente nuovo del confronto con la Nato perché il presidente americano Joe Biden ha già preannunciato che «vi saranno contromisure» se Putin dovesse ricorrere ad armi non convenzionali. Insomma, la Casa Bianca non ripeterà l’errore compiuto da Barack Obama con Bashar Assad di accettare passivamente il superamento di questa linea rossa. E così la “de-escalation” nucleare potrebbe essere applicata da entrambi, imprigionando la sicurezza dell’Europa.