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 2022  aprile 17 Domenica calendario

I comici di talento nel secolo del «come ti permetti»

Di che cosa si può ridere? Sì, la so la risposta «di niente, perché qualunque argomento è potenzialmente offensivo per qualcuno». Uno bravo, Bill Maher, la settimana scorsa ha fatto nel suo programma una ricostruzione dello schiaffo degli Oscar (ve lo ricordate?) in cui, considerato quant’era blanda la battuta di Chris Rock, concludeva che presto ai comici resteranno solo le battute su quanto si mangia male in aereo, e quelle sui baristi di Starbucks che sbagliano a scriverti il nome sul bicchiere di carta (ma forse sono entrambe battute classiste: lo sai quanto guadagna una hostess, lo sai quanto guadagna un barista, non ti vergogni).
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Intanto è morto Gilbert Gottfried, uno dei molti comici americani che non avete mai sentito nominare (almeno finché non ci inciampate su Netflix) e che lì sono leggendari, e proprio Maher (di cui ieri sera Hbo ha trasmesso un nuovo monologo, poi ci torniamo) e Jimmy Kimmel l’hanno rievocato con la risposta perfetta a «di cosa si può ridere».

La risposta era nel fatto che il pezzo più famoso di Gottfried era The Aristocrats, che è un po’ come se domani morisse il cantante Tizio e io vi dicessi che il suo pezzo più famoso era O sole mio. The Aristocrats è talmente un classico della comicità americana che nel 2005 ci hanno fatto un documentario. Poi ci torniamo.
La risposta era in una serata per Hugh Hefner che Kimmel presentava, a New York, in un mese di cui forse avete sentito parlare: il settembre 2001. C’erano i comici che credevano di poter fare i comici, e non sapevano che era cominciato il secolo del «come ti permetti». Gottfried sale sul palco e dice che deve andare in California, ma non c’è un volo diretto: «Prima devono fare tappa sull’Empire State Building». La folla si gela e gli urla «troppo presto». Tragedia più tempo, e tutte quelle stronze frasette che usiamo per illuderci che esistano formule infallibili per far ridere (o per fare praticamente qualunque altra cosa tranne le addizioni).

Gli altri comici pensano che non si riprenderà più, ormai per quella sera il pubblico l’ha perso. Solo che, se sei un giocatore, non hai perso finché non hai perso tutto; fino ad allora, rilanci. E quindi Gottfried pensa bene di fare The Aristocrats. Una storiella il cui inizio e la fine sono fissi, e la cui parte centrale è improvvisazione. Può durare ore, dice la leggenda (e fingono di credere quasi tutti i comici intervistati nel documentario del 2005).
L’inizio è: una famiglia entra nell’ufficio d’un agente d’artisti e dice «Abbiamo un numero che vorremmo farle vedere». Sono, come da ricostruzione documentaristica, una famiglia a formula fissa: madre, padre, figlio, figlia, cane. L’agente li invita a esibirsi per lui, e a quel punto pensate a tutto quel che di più irripetibile vi viene in mente.
Quando hanno girato il documentario era ancora vivo George Carlin, che voi non sapete chi è perché non ve lo trovate su Netflix e mica possiamo aspettarci abbiate studiato, ma i comici americani lo considerano il loro padre nobile, e uno dei suoi numeri più famosi s’intitola Le sette parole che non si possono dire alla tv americana. La settimana scorsa Maher ha detto che ora è tutto cambiato: le sette parole indicibili sono «Jada, voglio vederti in Soldato Jane 2». Ai documentaristi, Carlin raccontava che, nella sua versione degli Aristocratici, il padre cagava in bocca alla madre, con dettagliata descrizione di quel che mangiava per dare consistenza alle feci.
Coprofagia a parte, le variazioni sono molteplici e perlopiù sessuali: incesto, accoppiamenti tra il cane e gli umani, tutto quel che di schifoso vi viene in mente, in un crescendo che fa chiedere al pubblico dove diavolo sia capitato.
Gottfried, se avete perso il filo, si lancia in questo crescendo davanti a un pubblico che ha appena gelato con una battuta sull’undici settembre quando l’undici settembre è avvenuto da un paio di settimane. Il pubblico in sala, ha raccontato Kimmel l’altra sera (e raccontano da vent’anni tutti quelli che c’erano), all’inizio sta sulle sue, alla fine piange dal ridere. Ed è dopo nove minuti di immagini raccapriccianti che Gottfried arriva alla chiusa fissa. La più schifosa delle famiglie termina il proprio numero, s’inchina all’agente potenziale, e quello chiede «Ah, e come vi chiamate?». Gli aristocratici. Inchino, applausi.
L’apparizione più interessante, nel documentario del 2005, è quella di Chris Rock, che dice che The Aristocrats fa bagnare le mutande (sintesi mia) ai comici bianchi, perché hanno un frisson a poter dire cose schifose. I comici neri le hanno sempre dette, tanto in televisione non li invitavano comunque, e quindi mica dovevano attenersi a standard di presentabilità sociale.
Nel documentario di ieri sera, Adulting, Maher comincia dal grande indicibile: la pandemia. È allora che capisci non se sia all’altezza lui, ma se sei all’altezza tu. Se sei uno che ride solo di ciò con cui è d’accordo, dovrai farti bastare le battute sui nomi scritti sbagliati sui bicchieri di Starbucks. Maher – che quelli che sono per la libertà d’espressione di chiunque sia d’accordo con loro detestano da quando molti anni fa espresse dubbi sui vaccini – dice che continua a vedere gente con la mascherina, e gli vien voglia di chiedere «ma tu tieni il preservativo dopo aver finito di scopare» e che comunque «la salute è un mistero: come fa Trump a essere ancora vivo?», e che sua madre beveva da incinta, tutti fumavano in aereo, medici compresi, e insomma la scienza non è scolpita nella pietra. Mentre ridevo pensavo che certo, le battute sul diritto ad abortire delle donne trans, che non hanno un utero e quindi non possono restare incinte ma noi non vogliamo violare il loro diritto di scelta su feti immaginari, quelle poteva farle dopo, perché le questioni di genere non hanno più il primato della suscettibilità, «cheppalle con ’sta pandemia» è forse il nuovo grande indicibile, ed è all’inizio che devi dire al pubblico che il tuo aereo fa una fermata sull’Empire State Building, e che non pensi ci siano cose di cui non si possa ridere. È in apertura di serata che devi verificare d’essere nel posto giusto; e che sia all’altezza, il pubblico.