Corriere della Sera, 17 aprile 2022
Mykolaiv è rimasta senz’acqua
«Non voglio imprecare ma è così». Sei giorni senza acqua. Non bastavano i missili e le cluster bomb che venerdì mattina hanno provocato altri cinque morti civili. Ora Mykolaiv, il porto alfiere di Odessa è rimasto a secco.
«Abbiamo un problema di energia elettrica alle pompe, appena risolveremo vi spiegheremo tutto», aveva dichiarato al Corriere l’ufficio stampa della Nikolaevodokanal, l’azienda idrica della città, martedì mattina. Poi giovedì la precisazione sui social: «Abbiamo scoperto un altro problema alla rete. Ma è pericoloso lì, non possiamo accedervi ora». Infine la conferma ai media locali: «A danneggiare le condotte è stato un raid russo all’altezza di Kiselevka nel tratto tra Kherson, occupata dai russi, e Mykolaiv».
Acqua e conflitti. Da sempre le guerre si combattono anche per il controllo dei bacini idrici. E questa non fa eccezione. Fin dall’occupazione russa della Crimea nel 2014, Mosca e Kiev hanno cercato di bloccarsi i rifornimenti a vicenda.
La digaProprio da Nova Kakhovka, vicino a Kherson, parte il lunghissimo canale artificiale che porta le acque del Dnipro in Crimea, sbarrato con una diga dalle forze di Kiev dopo l’annessione della penisola. Ma quando le truppe di Mosca sono entrate nella regione, più di un mese fa, una delle prime azioni è stata la distruzione della barriera.
Il timore ora è che i russi stiano adottando con Mykolaiv la stessa strategia usata con Mariupol, lasciata senz’acqua per una settimana prima di essere colpita dai raid. Una rappresaglia, oltre che una tattica per piegare il nemico. E che, a breve, potrebbe richiedere l’evacuazione dei feriti da Mykolaiv verso Odessa. «Non ce la faranno con noi», dice Igor, 45 anni, mentre fa la fila per un bidone d’acqua. «Il nostro sindaco ha rimesso in funzione i vecchi pozzi che attingono dai fiumi Bug e Ingul, non moriremo di sete». Sospira la signora Luba, con le sue mani enormi deformate dall’artrite. «Ho 87 anni, nemmeno più l’acqua per il tè posso far bollire».
La strada contesaDa 50 giorni la città è in prima linea. Da due settimane i russi hanno iniziato a tirare bombe a grappolo che solo venerdì hanno provocato cinque vittime. Mentre il sangue dei feriti e dei morti si rapprende sull’asfalto davanti alla chiesetta ortodossa, una ventina di chilometri più a sud a Shevenchove, ultimo villaggio prima del fronte verso Kherson, una colonna di fumo si alza all’orizzonte. «Siete fortunati hanno bombardato cinque minuti fa», dice il soldato al check point. Villaggi di poche case, costruiti con i risparmi di una vita e abitati da allevatori e agricoltori, la cui unica colpa è trovarsi su una delle strade più contese di questa guerra, la M-14.
Poco più indietro, a Zelenyi Hai, Eugeny porta da mangiare agli animali. «Non voglio che muoiano di fame». In paese – spiega – corrente e gas non vanno più. La copertura telefonica nemmeno. Gran parte delle case sono sventrate dalle bombe. Due strade di sterrato più in là, anche il cemento armato dell’edificio più grande del villaggio è squarciato in due da un missile. «Era una scuola, ci si nascondevano civili e militari. Questo è quello rimane di Zelenyi Hai».
I boati riprendono, la terra trema. I russi hanno ricominciato a bombardare. «Andate via di qui, non è sicuro. Noi restiamo a difendere quel poco che resta». Sulla strada del ritorno verso Mykolaiv colonne di fumo si levano dagli altri villaggi sulla strada. «Se colpiscono vicino, abbandonate l’auto e buttatevi in quel fossato», dice Andriy, l’autista. Il fossato, come lo chiama lui, è un tratto del canale che va verso la Crimea. È asciutto. Sul fondo è rimasto solo un tappeto di rami secchi.