Corriere della Sera, 16 aprile 2022
Biden continua ad armare gli ucraini
Questo è un romanzo russo. Siamo al terzo capitolo. La cattiva notizia è che ce ne sono altri 57. Sarà una guerra lunga. È doloroso ma una soluzione rapida, cioè la sconfitta dell’Ucraina, sarebbe ancor più drammatica», anche per le conseguenze future. Le parole di Dan Baer, ex ambasciatore Usa presso l’Organizzazione per la sicurezza in Europa (Osce), rispecchiano il crudo realismo di Washington dopo 50 giorni di guerra: Putin non capitolerà, ma Biden non mollerà la presa. Le sue parole non sono gaffe, sono sostanza politica e quando parla di genocidio è chiaro che non può né vuole tornare indietro. Svanita l’opzione diplomatica, continuerà a sostenere l’Ucraina a due livelli: nuove forniture di armi per fronteggiare l’imminente controffensiva russa e, poi, addestramento dei militari ucraini, che in futuro potrebbero ricevere aerei e tank occidentali. Se in Europa si registrano segni di fatica, Biden rimane determinato, anche perché i giudizi più positivi li sta ricevendo sulla gestione della guerra, mentre la difesa dei valori democratici è il tema per lui più congeniale anche in chiave interna. La Russia lo sa e per questo minaccia «conseguenze imprevedibili» se continueranno le forniture militari all’Ucraina.
Le cronache quotidiane della guerra, degli incontri, degli eventi simbolici, portano a dare grande importanza mediatica alle visite di solidarietà a Kiev o ad apparenti battute d’arresto come la rinuncia di qualche settimana fa a fornire una squadriglia di Mig 29 polacchi alle forze armate di Zelensky. In realtà Kiev sta ricevendo gran parte dei materiali che ha richiesto e, soprattutto, il grosso sta arrivando a tempo di record: i risultati si sono visti sul campo di battaglia. È questo che ha fatto infuriare Mosca fino al punto di consegnare al Dipartimento di Stato una nota diplomatica nella quale chiede di fermare quella che definisce «l’irresponsabile militarizzazione dell’Ucraina» col rischio che «armi ad alta precisione cadano in mano di banditi e nazionalisti radicali».
Nel dosare il sostegno militare all’Ucraina, il governo Usa tiene ovviamente anche conto dei problemi di deterrenza e continua ad evitare ogni coinvolgimento fisico diretto della Nato nel conflitto, ma non è per questo (o solo per questo) che Zelensky non ha ricevuto aerei e carri armati occidentali. Oggi l’urgenza è quella di affrontare una controffensiva russa ritenuta imminente. Quindi è importante far arrivare ai soldati ucraini tutti gli armamenti di concezione russa, quelli che già conoscono perché li hanno avuti in dotazione, recuperabili nei Paesi dell’Est europeo.
Meno urgente, in un clima di intensificazione dei combattimenti e con Kiev di nuovo bombardata, mandare nella capitale ucraina, dopo tanti leader europei, anche un alto esponente dell’amministrazione Usa in segno di solidarietà: certo non il presidente, se non altro per motivi di sicurezza. Lo si farà ma conta di più che col nuovo stanziamento di 800 milioni di dollari di aiuti militari (che porta il totale dall’inizio del conflitto a oltre tre miliardi) gli Usa fanno avere all’esercito ucraino pezzi d’artiglieria a lunga gittata (i cannoni Howitzers da 155 mm), elicotteri Mi-17 e veicoli blindati.
Biden viene criticato, da destra, da chi vorrebbe che fornisse a Zelensky anche elicotteri Apache e caccia F-16. Ma, a parte i rischi insiti nell’invio di armamenti offensivi, la necessità di consegnare armamenti americani si presenterà più avanti nel conflitto, man mano che le scorte di quelli di concezione russa si esauriranno. Per questo oggi l’attenzione al Pentagono si sta spostando anche sui problemi di addestramento dei militari ucraini nel lungo periodo. Senza nascondersi che fornire caccia sofisticati, con tutta la relativa catena logistica, a un Paese devastato dai bombardamenti e con aeroporti poco agibili sarebbe molto complicato. Per ora, quindi, meglio puntare su batterie di missili capaci di intercettare aerei russi anche ad alta quota e sui droni che riescono a colpire con precisione e possono partire da qualunque tratto stradale.
Gli interrogativi principali, a questo punto, riguardano la tenuta dell’esercito ucraino e quella di un popolo così provato. Ma l’America non può che assecondare Zelensky e Biden non ha tentennamenti. La momentanea ritirata russa dal nord dell’Ucraina poteva offrire un’occasione per tentare un dialogo, ma la scoperta dei massacri di civili l’ha reso impossibile. Ora l’ipotesi considerata più probabile – pessima ma c’è di peggio – è un congelamento del conflitto con i russi che potrebbero mostrarsi appagati dalle conquiste nel sud-est del Paese, mentre il fuoco continuerà a covare sotto la cenere.
Biden terrà duro perché l’aggressione dell’Ucraina ha risvegliato lo spirito atlantico che ha caratterizzato la sua attività politica per quasi mezzo secolo, ma anche perché la difesa dei valori democratici e dei diritti umani fa parte del bagaglio politico col quale ha vinto le elezioni del 2020, mentre i sondaggi, dagli esiti comunque contraddittori, pur non dando al presidente più del 40% dei consensi sul modo in cui sta gestendo la guerra, indicano che la stragrande maggioranza degli americani vuole che gli Usa armino l’Ucraina e rafforzino la Nato senza, però, un coinvolgimento diretto nel conflitto: cioè la politica fin qui seguita dal presidente e appoggiata anche da gran parte dei repubblicani che, almeno sul rapporto con Putin, hanno presto le distanze da Trump.