la Repubblica, 15 aprile 2022
L’ultimo giro di Allyson Felix
È un addio alle armi molto Felix. Come lei, Allyson. La Wonderwoman dell’atletica. E anche Supermom di Camryn. A fine anno lascia la corsia. Ha 36 anni, basta corse. «Ho dato tutto e per la prima volta non sono sicura di averne ancora. Voglio salutare e ringraziare lo sport e le persone che mi hanno aiutato a diventare quella che sono nell’unico modo che conosco, con un’ultima corsa».
Allyson Felix non ha mai fatto la star. Avrebbe potuto: 11 medaglie olimpiche (sette ori, tre argenti e un bronzo). «Amazing Grace» verrebbe da cantare. Una donna capace di cavarsela benissimo da sola (5 medaglie), ma anche di dare il cambio in squadra (6 in staffetta). Nessuna come lei, nemmeno Carl Lewis fermo a 10, mentre la giamaicana Merlene Ottey ne ha raccolte 9, ma nessun oro (3 argenti e 6 bronzi). Allyson davanti ha solo il finlandese Paavo Nurmi con 12. A Tokyo la sua presenza non era scontata, in tanti pensavano che non ce l’avrebbe fatta a qualificarsi ai Trials dopo un parto cesareo difficile (preeclampsia) in cui aveva rischiato la vita. Invece settimo oro, 13 anni dopo aver conquistato il primo (Pechino 2008), nella stessa specialità e nella stessa frazione (seconda). Non un graffio da ex, ma la conferma di una signora dello sprint capace di durare vent’anni e di marchiare il suo territorio.
Esordio da adolescente ad Atene 2004 e l’addio ai Giochi a Tokyo in una staffetta composta da tre campionesse olimpiche (McLaughlin, Muhammad, Mu) facendo da cerniera tra il futuro e il passato. Senza citare le 18 medaglie mondiali di cui 13 d’oro, molte di più di quelle di Bolt. Sempre elegante, mai volgare, anche nella sconfitta. A Pechino 2008 si nascose per piangere dietro a un cancello quando la giamaicana Campbell Brown se la mise alle spalle nei 200. Ha sempre corso in testa, con un’espressione serena. Ha ricordato che per la magrezza da bambina la chiamavano “cosce di pollo”. Ora la sua ex scuola le ha intitolato la pista d’atletica. «Non potevo immaginare che avrei avuto una carriera del genere. Sarò riconoscente per sempre a questo sport che ha cambiato la mia vita».
Molto credente. Se andavi a trovarla di domenica mattina ti trascinava a messa (e poi al bowling). Sposata, una figlia, Camryn, padre predicatore, madre insegnante, fratello ex sprinter, nonno morto a 107 anni, fondatore della Messiah Baptist Church a Los Angeles. Quando tutto si è fermato per la pandemia non si è lamentata, si è adattata, allenandosi ovunque accanto a casa ci fosse uno spazio, un rettilineo, un parcheggio. Combattente non solo in corsia. Quando lo sponsor Nike le ridusse il compenso (70% in meno), lei ruppe, denunciò il trattamento ingiusto verso le atlete che vanno incontro alla maternità, andò a testimoniare alla Camera sulle disparità razziali, e ottenne per tutte nuove garanzie contrattuali da protocollo. Mettendo anche in piedi una fondazione che aiuta chi ha questi problemi. E infatti non c’è malinconia nell’addio ma promessa di altre battaglie. «Questa stagione non è per il cronometro, ma per la gioia. Questa stagione la corro per le donne. Per un miglior futuro per mia figlia. Per voi. Per poter condividere notizie che spero aiuteranno a costruire un mondo migliore per le donne». Qualcuno ha subito ribattuto: ma basta con questa storia che corre per qualcosa, non può semplicemente gareggiare senza dover trovare una ragione? No, Felix proprio non può.