E ora, Rancore, eccoci con “Xenoverso”, il disco che esce oggi. Cosa diavolo è lo xenoverso?
«È ciò che non conosciamo, i luoghi dove non siamo mai stati, le esperienze che non abbiamo vissuto ancora. Tutti i mondi da esplorare insomma».
E lei lo fa in musica?
«Lo faccio come posso e so farlo. Non solo con queste 17 canzoni, però, che sono appunti, storie e incontri di questo mondo, ma anche con foto e disegni che si possono trovare sul sito xenoverso.com. Ed essendo questo disco un album ci sono anche delle figurine: alcune lì dentro, altre si potranno trovare ai miei concerti».
Tutto molto bello, ma perché?
«Perché sono stufo dell’eterno presente dei social, della filosofia del “life is now” che disprezza il passato e trascura il futuro, della verità imprigionata nel tangibile. Mi piace esplorare ciò che non conosco e cerco gente che la pensi come me».
Sicuro di trovarla? Perdipiù, perdoni, in un disco rap, non un trattato di filosofia.
«Lo faccio coi mezzi che padroneggio. Un mio pubblico ce l’ho e spero mi segua: non è il primo disco del genere che faccio. In più se anche una sola persona che non mi conosce si facesse prendere dal gioco io sarei contento. Aggiungo che Xenoverso è come le lasagne o una cipolla: multistrato. Le canzoni sono state scritte, suonate e prodotte in modo che anche chi non vuole partecipare a questa ricerca mentale, ma voglia solo godersele così come sono, possa farlo. Sono tra l’altro tra le più semplici che abbia mai scritto, per parole e melodie».
Ma ripetiamo, perché il rap?
«Perché ci sono cresciuto e perché è una musica che consente di spezzare le parole, di giocarci. E poi perché ho voglia di sabotare il meccanismo di abbassamento dei gusti e delle idee, siamo incastonati nel presente, si cerca l’efficienza più che l’efficacia delle cose, l’eterno presente genera un’ansia di cui non ci rendiamo conto. Il rap è dirompente e mi permette di andare contro tutto questo».
Visto che ama rompere le parole, ci lasci rompere “xenoverso”: inizia con “xeno”, straniero. Un caso per un romano un po’ croato un po’ egiziano?
«Certo che no, ci stiamo affacciando a una xenoera, malgrado quel che succede nel mondo, ed è solo un bene. Ci aggiungo che lo xeno è un elemento chimico che serve a illuminare».
Le canzoni sono 17, ma sul disco sono solo 15, la 5 e la 9 sono saltate, come gli alberghi americani che non hanno la stanza 13. C’è un motivo?
«Sì, che questo progetto parte da lontano, cioè ci lavoro ben prima di Musica per bambini, il disco precedente, del 2018. E le tracce numero 5 e 9 di Xenoverso sono finite già in quel disco. Un paradosso temporale tipico dello xenoverso».
Lei è proprio sicuro che sarà capito?
«Io sono sicuro che troverò gente sensibile come me, cosa che è sempre successa. La sensibilità è una dannazione, a volte, ma se sai usarla bene rompi le uova ed entri in altri mondi pieni di gente e cose incredibili. Sarà così anche nei concerti, che stavolta come non mai saranno quasi esperienze teatrali: la gente ne uscirà dopo un percorso interiore. Migliorata o peggiorata non so, di sicuro diversa».