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 2022  aprile 15 Venerdì calendario

Fare il celebrante diventa un lavoro

«Cosa fa un celebrante in un funerale laico? Trova, ad esempio, le parole per dirlo, per ricordare la persona che non c’è più. Quelle parole che un figlio o una moglie ti sussurrano nel lutto ma non riescono a pronunciare, chi era, cosa amava, cosa lo aveva reso felice, noi li ascoltiamo, ricostruiamo vite e storie e senza simboli religiosi officiamo la cerimonia dell’addio». Si sofferma sul senso profondo del linguaggio, Clarissa Bosford, inglese approdata in Italia 40 anni fa, per spiegare cosa è il suo particolarissimo lavoro (e quello di altri cento tra donne e uomini) che al posto di preti e sindaci celebrano matrimoni e funerali, battesimi, ma anche, perché no, divorzi e separazioni. Funzioni laiche di stampo anglosassone sempre più richieste nel nostro Paese, dove ormai il 71% delle nozze è di rito civile (erano il 36% nel 2008) i battesimi in netta discesa e i funerali non religiosi una tradizione che si sta radicando.
Così dopo dieci anni di formazione “sul campo”, Clarissa Bosford, che di mestiere è anche traduttrice letteraria, insieme a Richard Brown e Liana Moca, ha fondato nel 2021 Federcelebranti, associazione che riunisce celebranti “certificati”. «Per anni siamo stati una piccolissima nicchia — racconta Bosford la cui formazione è avvenuta in Inghilterra — oggi soprattutto al Nord le cerimonie laiche sono una realtà in enorme crescita. Noi non abbiamo formule di rito, ogni evento è un evento a sé per il quale scriviamo una sorta di partitura che nasce dall’incontro con la coppia se si tratta di un matrimonio, con i familiari se si tratta di un funerale, con i genitori di un bimbo appena nato o adottato».
Può avvenire sulla spiaggia o in un giardino, in un salotto o in una villa, in un angolo di cimitero o al parco, il costo, dice Clarissa Bosford, oscilla dai 500 euro di un commiato ai tremila euro di un matrimonio. «Ogni celebrante personalizza il suo discorso, noi traduciamo in parole i pensieri di chi quel giorno salutiamo o festeggiamo, si leggono poesie, lettere, diari, si scelgono le musiche, gli interventi degli amici, dei parenti ». Il risultato, confessa Clarissa, è che spesso anche la parte più tradizionalista della famiglia, i nonni, ad esempio, nei matrimoni, «poi vengono a ringraziarci per la bellezza della cerimonia». Anche perché fuori dall’ufficialità la fantasia può correre libera. Si può attingere a ritualità diverse, «come il gioco delle sabbie se una coppia proviene da due zone diverse dell’Italia, lei siciliana, lui sardo, abbiamo mescolato la sabbia del vulcano e la sabbia bianca».
I celebranti però non sono pubblici ufficiali, nei matrimoni, perché la cerimonia abbia valore civile, devono chiedere la delega al sindaco. «Lo facciamo spessissimo e in quei casi indossiamo la fascia tricolore». Più delicata è la situazione se il rito non religioso è un funerale. Per l’esiguità di luoghi deputati dove poter ricordare chi non c’è più, piccole e anguste sale in angoli di cimiteri, per la mancanza di una tradizione e di funeral house come nei paesi anglosassoni, per un certo boicottaggio della Chiesa, e, spiega Bosford, «per la velocità con la quale i celebranti devono incontrare i familiari della persona scomparsa, ricostruirne i ricordi, scrivere il testo che poi leggeranno alla cerimonia». Eppure sono proprio i funerali laici, segmento in ascesa in questa nicchia di ritualità, a darci la misura antropologica della società che cambia.
«Quali coppie e famiglie ci chiamano? Sicuramente un dato comune è quello di non essere religiosi, il nostro lavoro in crescita testimonia la laicizzazione della società italiana. Ma anche il desiderio di avere un rito non standardizzato. Per questo i nostri celebranti fanno un corso di formazione nel quale imparano a entrare in contatto, con rispetto, nelle vite degli altri». E per distinguersi, appunto, dalla moda degli “attori cerimonieri” (esiste ad esempio il sito fintosindaco.it) la Federcelebranti ha scritto un insieme di linee guida, ratificate dall’Uni, l’ente italiano per la normazione, che definisce per la prima volta in Italia la figura del celebrante professionista. Un “albo” per dire “sì”, o dire “addio”, ma con le parole più giuste e autentiche.