Corriere della Sera, 15 aprile 2022
TikTok trascura la guerra
Non si sa se essere più soddisfatti che sconcertati. Come reagire di fronte al sondaggio compiuto da Intwig in vista della prossima edizione, il 29 e 30 aprile a Trieste, del «Festival della comunicazione non ostile»? Il risultato è che nei social si parla pochissimo di guerra, se è vero che dal 24 febbraio solo il 25% degli influencer su Instagram e il 14% su TikTok hanno accennato al conflitto tra Russia e Ucraina. Percentuali risibili, di cui è difficile rallegrarsi ma è altrettanto difficile dispiacersi. Da una parte sorprende che un «social media» socializzi su tutto tranne che sulle notizie più drammatiche dell’attualità: come se moda, cibo, prodotti vari e in genere tutto ciò che riconduce alla parola «shop» rimangano – crolli il mondo – i motivi più avvincenti. Dall’altra, può essere un segnale incoraggiante il fatto che la pandemia televisiva dell’opinionismo improvvisato non abbia ancora invaso Instagram e TikTok, i luoghi più frequentati dai nostri figli. Che finora i maggiori influencer non abbiano sentito l’urgenza di esprimersi su Putin va a loro merito. Non può meravigliare piuttosto che la parte del leone su Instagram la faccia Salvini, meraviglia invece che come «opinion maker» sulla guerra il leader della Lega sia seguito da Mara Venier e dal calciatore Federico Bernardeschi. Nessun altro politico? No. Nessun esperto divulgatore capace di prendere la parola nella piazza mediatica giovanile? No. Eppure forse ce ne sarebbe bisogno, se si considera il dato più sorprendente: su TikTok i contenuti su Russia e Ucraina (pochi) ottengono un richiamo medio molto più elevato rispetto ad altri argomenti. Ogni post sul conflitto ha 211 mila interazioni (132 mila su altri temi). Ciò significa che le giovani generazioni sono tutt’altro che indifferenti all’attualità bellica. Sarebbe utile che le famiglie, la tv, la scuola e, perché no, anche i social fossero all’altezza della loro curiosità, del loro interesse o delle loro paure.