il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2022
I conti in tasca a Giuseppe Sala
Non è un gran periodo, per Giuseppe Sala. Svogliato, sembra aver perso la sua forza propulsiva. Assiste nervoso alla crisi della sua Salaland, che spegne le luminarie. Dopo la rielezione con astensionismo record, non gli è riuscito di chiudere rapidamente, con un blitz silenzioso, l’affare stadio di San Siro. E ora è arrivato il guaio grosso: è alle prese con un buco di bilancio da 250 milioni di euro. Abituato agli applausi, non sa reggere le crisi. Ha perso la pazienza e si è perfino scagliato contro il governo dei Migliori, colpevole di non voler ripianare i suoi debiti: “Non posso avere fiducia in un governo che non ascolta una città che ha sempre celebrato come suo traino”, ha dichiarato, “quello di Mario Draghi è un governo che ora sembra così lontano”. Ha litigato anche con colei che ha dato il via alla sua carriera politica, portandolo prima al vertice del Comune di Milano come direttore generale e poi a Expo come amministratore delegato: Letizia Moratti, che ha criticato l’ipotesi di far quadrare i conti di palazzo Marino togliendo servizi ai cittadini e risparmiando sull ’assistenza, sull’edu – cazione, sulla cultura: come sempre, come tutti. È subito entrata in funzione la formidabile macchina della stampa&propaganda di Sala – l’unica cosa che gli funziona ancora bene – per convincerci che il buco non è colpa del sindaco, ma del destino cinico e baro: della pandemia prima, che ha ridotto le tasse sul turismo e le entrate da trasporto pubblico, e della crisi energetica poi, che sta dilatando la spesa comunale. Da Roma gli hanno ricordato che il governo gli ha già pagato 478 milioni nel 2020 e 467 nel 2021, per un totale di circa 950 milioni di euro. Ora le misure di sostegno sono finite, Draghi non scuce.
MA DAVVERO IL BUCO è tutta colpa del Covid? Per capirlo è necessario addentrarsi nella foresta intricata dei conti Atm, presidiata dal direttore generale, Arrigo Giana, riportato al vertice dell’azienda da Sala. Il trasporto pubblico a Milano funziona così. Atm incassa i soldi dei biglietti e degli abbonamenti (480 milioni nell’anno pre-Covid 2019) e li gira mese per mese al Comune. Il Comune le versa un costo-chilometro per i servizi prestati (750 milioni l’anno). È quanto stabilito dal contratto di servizio stipulato con Atm dal sindaco Letizia Moratti nel 2010. La spesa per il trasporto pubblico è la fetta più grossa delle uscite del Comune, che arrivano a un totale di 3,4 miliardi di euro l’anno. I conti Atm, che erano in ordine, negli ultimi anni sono andati in rosso: -40 milioni nel 2020, -21 milioni nel 2021. Certo, la pandemia ha pesato. Ma ha contribuito anche l’au – mento dei costi aziendali, del personale, delle consulenze. D’altra parte, il Comune di Milano incassa anche, dalla Regione Lombardia, i soldi del fondo nazionale del Tpl (Trasporto pubblico locale): circa 270 milioni di euro. Incamera i soldi dei parcheggi, delle multe, della pubblicità sui mezzi, dell’Area C (crollati negli anni della pandemia). E poi spende 100 milioni l’anno come canone da versare ai realizzatori (Ansaldo, Fs…) della M5, una sorta di mutuo – carissimo – che palazzo Marino paga per avere in futuro una nuova linea di metrò. E altri soldi per la linea M4. Alla fine, quel che è certo è che i conti non tornano. E che Draghi non vuole pagare. A chi gli ha rimproverato di andare dal governo con il cappello in mano, invece di cercare di risolvere a Milano i problemi della città, Sala ha risposto: “Sono stato più volte a Roma, ma mai con il cappello in mano. Sempre con la mia professiona