il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2022
Il lago dei cigni è stato messo al bando
Il 25 aprile al Teatro Bellini di Napoli non andrà in scena Il lago dei cigni di Pëtr Ilic Cajkovskij capolavoro della danza classica datato 1877. Al suo posto la Giselle di Adolphe-Charles Adam. Una sostituzione già registrata al comunale di Como, il 6 aprile, di Ferrara, il 9 aprile, alla Tuscany Hall di Firenze, al Teatro Rossini di Trieste, financo al teatro comunale di Lonigo, in provincia di Vicenza. E la lista è destinata ad allungarsi. Il perché è presto detto: Cajkovskij era russo, alcuni dei ballerini che avrebbero dovuto danzare sulle sue note sono ucraini. E il governo di Kiev ha imposto un diktat ai suoi connazionali: nessuna legittimazione della cultura russa, nessuna danza su note russe o con artisti russi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la rappresentazione del 4 aprile al Teatro San Carlo di Napoli, dove ucraini e russi si sono esibiti insieme in nome della pace. L’Opera Nazionale di Odessa ha tuonato: “Siamo profondamente indignati dalle azioni dei nostri colleghi. Al loro ritorno al lavoro, saranno indagati e sanzionati in conformità con l’attuale legislazione dell’Ucraina”. L’opa ha colpito un tour organizzato dall’Ukrainian Classical Ballet, compagnia composta da diversi talenti dei maggiori teatri del Paese, proprio per raccogliere fondi da inviare all’Ucraina e consentire a questi artisti di continuare a lavorare. Cosa sia accaduto l’ha spiegato al Corriere del Veneto la direttrice artistica, Natalia Iordanov: “Uno dopo l’altro i nostri ballerini sono stati contattati dalle direzioni dei rispettivi teatri (…) e si sono sentiti dire: ‘Visto che la Russia sta compiendo un vero e proprio massacro, non potete mettere in scena le opere di autori russi, altrimenti saremo costretti a licenziarvi e potreste essere arrestati per tradimento’. Lo capite? Ci hanno letteralmente minacciati”. La visione del governo ucraino è stata espressa più volte dal ministro Oleksandr Tkachenko: la Russia usa la sua cultura, anche del passato, balletto compreso, come strumento di propaganda, quindi quella cultura va messa al bando. Impedire agli artisti ucraini la partecipazione a eventi è uno degli strumenti che Kiev vuole mettere in campo per delegittimare l’aggressore.
Scelta lineare, ma non per questo condivisibile. “Eliminare Cajkovskij equivale a cancellare le radici stesse della danza classica” ha affermato Iordanov “Cajkovskij, prima di essere russo, appartiene alla cultura mondiale”. Anche il direttore del Teatro Comunale di Ferrara, Marcello Corvino, ha parlato di “follia”, aggiungendo di ritenere la direzione assunta dal governo guidato da Zelens’kij “assurda”. Ha spiegato a sua volta che gli artisti, contattati privatamente, avrebbero rischiato fino a 15 anni di carcere. Critici sono stati anche diversi sindaci dei comuni coinvolti. E critico, l’11 aprile, è stato anche il ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha detto di credere “che quando c’è una presenza del governo russo la rifiutiamo, ma da qui ad arrivare a non ospitare o rappresentare opere di artisti russi… non c’entra, bisogna mantenere un equilibrio” e ha aggiunto che “il presidente Mattarella” nei suoi discorsi “ha sempre parlato di governo russo, non ha detto neanche ‘Russia’. Perché è chiaro che noi dobbiamo valorizzare tutto ciò di libero, spontaneo e diverso che c’è. È coltivare la libertà”. Parole importanti, che però imporrebbero delle azioni conseguenti: il governo italiano, che ha promesso al ministro della cultura ucraino i fondi per ricostruire il teatro di Mariupol, ha stanziato 2 milioni di euro per borse di studio per artisti ucraini, e sta inviando armi a Kiev, accetta o non accetta la decisione di bandire la cultura russa e impedire ai cittadini ucraini di ballare su note di autori russi? Se la risposta è sì, allora possiamo risparmiarci anche le parole retoriche. Se la risposta è no, il nostro ministero ha tutti i mezzi per difendere la libertà degli artisti ucraini, evitando che i teatri italiani diventino uno spazio di censura e controllo mentre si raccolgono – nobilmente – fondi per la popolazione civile. “Noi diciamo sempre che la danza non ha confini e che l’arte e la cultura non c’entrano con la guerra”, ha detto Iordanov a Como, “ma in questo caso, benché possa sembrare assurdo, purtroppo c’entrano, eccome”. Prendiamone atto: la retorica, ora, non basta.