Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 14 Giovedì calendario

Intervista alla pilota di moto Ana Carrasco

Ana Carrasco, 25 anni, spagnola di Murcia, è la prima e — per ora — unica donna pilota ad aver vinto un titolo iridato nel motorsport. Nel 2020 restò coinvolta in un tremendo incidente in Portogallo: dopo la frattura di tre vertebre e una impressionante operazione alla schiena, è tornata a correre contro gli uomini in Moto3 in questa stagione.
Quante viti le hanno inserito lungo la colonna vertebrale, insieme alle placche di titanio?
«Non ne ho idea. Quattro, sei?».
Quattordici. E punti di sutura?
«Tantissimi. Ma per fortuna la cicatrice quasi non si vede più».
L’incidente in Portogallo di un anno e mezzo fa, nei test della Supersport 300, è stato terribile.
«Non ho mai avuto paura, i medici mi hanno subito detto che con molta pazienza e tanto lavoro un giorno avrei potuto tornare a correre in moto. Uscita dalla clinica, ho pensato solo a recuperare. Un pilota lo sa, che durante la carriera deve affrontare degli infortuni e confrontarsi col dolore. Mi era già successo in passato. Questa volta però è stato davvero complicato».
Aveva pubblicato sui social una foto dopo l’intervento. La ferita lungo la schiena, e lei sorridente.
«È stato un modo per comunicare coi miei tifosi e gli appassionati di moto: spiegare loro cosa mi stava accadendo. E in qualche modo volevo chiedere aiuto: mi serviva l’empatia, la solidarietà di tutti, per continuare nel mio sogno.
Sorridendo: perché credo che comunque si debba sempre cercare l’aspetto positivo, nella vita. Non ho mai dubitato di potercela fare».
Nel 2018 il titolo mondiale Supersport 300 con una Kawasaki Ninja. E adesso, 9 stagioni dopo l’esordio, il ritorno in Moto3 con una Ktm del team Boé. Unica donna in pista, ancora una volta.
«Sulla carta, dal punto di vista fisico sarà meno impegnativo che nella Supersport: passo da una moto da 150 chili a una che ne pesa 80. Però il livello tecnico è molto alto, ci sono tanti ragazzi veramente veloci».
Era rientrata in pista già lo scorso anno, vincendo a Misano nella Ssp300.
«È stato un lungo percorso. Ho continuato a crescere, poco alla volta: senza fretta, senza mollare.
L’occasione di tornare al Mondiale di Moto3 è arrivata all’ultimo momento, a gennaio. Conoscevo già la squadra perché ero stata con loro nel 2015. Per me è una nuova sfida e una opportunità da prendere al volo: mi sento pilota più che mai, e credo sia il momento di approfittarne».
Nel 2013 in Moto3 stava davanti a ragazzi come Bagnaia e Viñales, adesso protagonisti in MotoGp. Quest’anno ha chiuso al 20° posto in Qatar, 19° in Indonesia, fuori in Argentina.
«In questa prima parte ho bisogno di riprendere confidenza. Dalla seconda metà del campionato voglio pormi degli obiettivi, e raggiungerli. La MotoGp resta il mio sogno. Ma sono consapevole che se non arrivano i risultati dovrò rassegnarmi. Una cosa è certa: darò tutta me stessa, sempre».
Sempre in pista, non pensa ad altro.
«È difficile avere una vita “normale”, quando sei un pilota.
Per metà della giornata ti alleni, magari poi dai un’occhiata alla moto. E la stagione dura quasi tutto l’anno. Non ho nessuna relazione sentimentale. Il poco tempo libero lo dedico alla famiglia, agli amici».
Vittorina Sambri era nata a Ferrara nel 1891, nel 1913 vinse la sua prima gara in motocicletta, a Faenza: i maschi la odiavano e le facevano mille scorrettezze.
«Io non ho nessun problema con i miei colleghi, anzi. E mi dà un gran gusto, sorpassarli. È solo motociclismo, sport. I limiti sono tutti nella testa di voi uomini».